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Title: Descrizione di una zona di contatto e ibridazione tra Speleomantes italicus e Speleomantes ambrosii bianchii (Amphibia - Plethodontidae) sulle Alpi Apuane mediante marcatori nucleari e mitocondriali
Other Titles: Description of a contact and hybridization zone between Speleomantes italicus and Speleomantes ambrosii bianchii (Amphibia - Plethodontidae) in the Apuan Alps using nuclear and mitochondrial markers
Authors: Ruggi, Alessandra
Keywords: Zona di contatto;Ibridazione;Citocromo B;Aplotidi mitocondriali;Introgressione;Zone ibride unimodali e bimodali;Geotritoni;Contact zone;Hybridization;mtDNA;Restriction fragment lenght polymorphisms (RFLP);Mitochondrial aplotypes;Allelic introgression;Linkage disequilibrium;Unimodal - bimodal hybrid zone;Plethodontid salamanders;Speleomantes ambrosii ambrosii;Speleomantes ambrosii bianchii;Speleomantes italicus;BIO/07
Issue Date: 30-Nov-2007
Publisher: Università degli studi della Tuscia - Viterbo
Series/Report no.: Tesi di dottorato di ricerca. 18. ciclo
Abstract: 
Le zone ibride, cioè regioni in cui individui provenienti da popolazioni geneticamente distinte si incrociano generando una progenie ibrida, sono state riconosciute soprattutto negli ultimi venti anni come terreno fertile per affrontare e capire fenomeni di natura evolutiva, come i modelli di speciazione ma soprattutto i processi microevolutivi.
Le zone ibride possono essere in quest’ottica, indicatori di speciazione incipiente e rappresentano dei laboratori naturali per comprendere quindi i meccanismi che limitano il flusso genico ovvero i meccanismi di speciazione. Le zone ibride vengono quindi sempre più spesso prese in considerazione, per le potenzialità sopra citate, sia in studi filogenetici (Garcìa-Parìs et al. 2000; Weisrock et al. 2005; Bonnet 2002; Sites et al. 2004) che filogeografici (Hewitt 2001, 2004).
Se i primi casi di zone di contatto utilizzavano prevalentemente un approccio elettroforetico (Szymura & Barton 1986; Cesaroni et al. 1992; Muller 1998; Jones & Collins 1992), talvolta unito ad analisi morfologiche, attualmente lo studio delle zone ibride si avvale dell’utilizzo di più marcatori molecolari, ecologici e morfologici, secondo un approccio comparato multi-markers. In particolare, accoppiando marcatori nucleari e mitocondriali, si possono mettere in evidenza patterns e processi evolutivi altrimenti insospettati (Alexandrino et al. 2000; Szymura & Barton 1991; Szymura et al. 2000; Jiggins et al. 1997; Cianchi et al. 2003); così come inferire sulla tassonomia delle specie (Phillips et al. 2004).
Tra i vari marcatori molecolari, il DNA mitocondriale viene ormai utilizzato abitualmente nello studio delle zone ibride, grazie alle sue numerose potenzialità: permette di studiare la struttura genetica della zona con un maggiore grado di risoluzione, considerato il tasso di evoluzione più rapido per esempio rispetto agli allozimi, cui viene spesso affiancato. Può mettere in luce la direzionalità dell’introgressione e conseguentemente permette di fare considerazioni di carattere ecoetologico (Louise et al. 2001); permette di effettuare studi filogeografici (Alexandrino et al. 2000, 2002).
Nella famiglia dei pletodontidi relativamente poche zone ibride sono state studiate in dettaglio (Hairston et al. 1992; Yanev 1980; Wynn 1986; Wake et al. 1980; Karlin & Guttmann 1981), e questa è l’unica trovata nel genere Speleomantes.
E’ stato recentemente dimostrato che la specie Speleomantes ambrosii include due forme geograficamente e geneticamente distinte: S. ambrosii ambrosii, proveniente da La Spezia sulla destra idrogeografica del fiume Magra, e S. ambrosii bianchii, il cui areale va da Massa Carrara alle Alpi Apuane occidentali. In quest’area da un precedente studio, condotto mediante elettroforesi dei sistemi gene-enzima, ha mostrato che i due taxa S. a. bianchii (Lanza et al. 2005) e S. italicus si sono incontrati e hanno ibridato formando la zona di contatto qui studiata (Cimmaruta 1993; Nascetti et al. 1996).
Le finalità particolari dello studio sono perciò state:
· Descrivere in maniera dettagliata la struttura genetica della zona in termini di variabilità genetica e differenziamento genetico.
· Verificare la collocazione e la relativa ampiezza del fronte di contatto tra le due specie, avanzare considerazioni di carattere eco-etologico e inoltre sulla dinamica di formazione della zona stessa.
· Studiare il pattern di introgressione ai loci discriminanti tra i due taxa anche mediante un approccio basato sui disequilibri genetici (deficit di eterozigoti e linkage disequilibria).
· Verificare l’eventuale sintopia di parentali e la presenza di ibridi di prima generazione. Quindi, considerando l’indice di ibridazione e i risultati del test di attribuzione degli individui a varie classi genotipiche, classificare la zona secondo una struttura uni- o bi-modale e confermare o meno l’attribuzione al modello più diffuso di zona di tensione.
Sono stati analizzati 300 individui, provenienti da 38 popolazioni, mediante RFLP (Restriction Fragment Length Polymorphisms) di una porzione del citocromo-b di 501bp, il cui protocollo è stato messo a punto in questo lavoro, e che corrisponde alla posizione 16,580 (5’end) e 17,078 (3’end) di Xenopus laevis (Roe et al. 1985). Sono stati identificati gli aplotipi specifici di S. italicus, S. a. ambrosii e S. a. bianchii , mediante un set di quattro enzimi di restrizione. Per 162 individui appartenenti a 35 popolazioni su 38 totali, è stato sequenziato un frammento più lungo (838bp) che include il precedente, corrispondente alla posizione 16,580 (5’end) e 17,078 (3’end) di Xenopus laevis (Roe et al. 1985), a conferma e integrazione dei risultati ottenuti. Sono stati ottenuti venti aplotipi totali.
I geotritoni sono animali subtroglofili e quindi la loro esistenza è vincolata in massima parte alla presenza di ambienti ipogei con temperatura e umidità pressoché costanti (Lanza et al. 1995). Questa caratteristica unita alla bassa vagilità e sicuramente ad un ristretto home range, rende la dinamica di popolazione e quindi la distribuzione geografica di questi animali estremamente condizionata dalle variazioni climatiche. Su scala geologica infatti l’alternanza di periodi glaciali ed interglaciali soprattutto durante il plio-pleistocene, ha fortemente condizionato per non dire modellato, la struttura genetica delle specie continentali del genere Speleomantes e la dinamica più verosimile è quella di ripetuti “flush” (espansioni) e “crush” (contrazioni) delle popolazioni (Forti et al. 1998), incluse quelle appartenenti a S. a. bianchii e S. italicus. Per S. a. ambrosii sono stati identificati come rifugi glaciali l’Appennino ligure meridionale e per S. a. bianchii le Alpi Apuane, considerate area di rifugio anche per altre specie della fauna e della flora (La Greca 1970; Mariotti 1984; Pignatti 1994; Kropf et al. 2002). A partire dai loro rifugi glaciali le popolazioni di S. a. bianchii e S. italicus sono venute in contatto ed hanno ibridato, non essendosi sviluppate efficaci barriere di isolamento pre-mating.
Il differenziamento genetico rilevabile dal dato allozimico tra S. a. bianchii e S. italicus è abbastanza elevato, corrispondendo ad una distanza di Nei di 0,46 e presentando sette loci discriminanti tra le due specie. La zona è caratterizzata da una scarsa ampiezza, una ventina di chilometri circa, il cui centro è collocato sulle Alpi Apuane in corrispondenza della località di Cave Henraux (LU). Il fronte di contatto è pure ristretto, ampio circa due chilometri e lungo circa sette in base ai campionamenti finora effettuati. Sebbene ci sia introgressione, esaminando l’andamento delle frequenze alleliche e dei parametri di variabilità, le due entità mantengono una distinta caratterizzazione genetica come emerso dall’UPGMA e ancor più dal marcatore mitocondriale, sia RFLP che sequenze. Infatti considerando solo il Cyt b non c’è praticamente mai compresenza di aplotipi mitocondriali delle due specie, eccetto una delle popolazioni del fronte di contatto (Isolasanta IIS) in cui c’è sintopia di tre aplotipi, due di tipo ambrosii e uno di tipo italicus.
Dal confronto e dall’integrazione dei risultati dei due marcatori è stato possibile ipotizzare in S. italicus una dinamica di espansione recente delle popolazioni situate sull’Appennino tosco-emiliano verso sud fino all’Abruzzo. Infatti la ridottissima variabilità genetica che caratterizza le popolazioni più meridionali dell’areale di S. italicus corrobora l’idea di una colonizzazione relativamente recente di questa parte dell’areale mediante un’espansione veloce. Anche il network degli aplotipi mostra come, oltre al nucleo isolato sulle Alpi Apuane, corrispondente alle popolazioni introgresse, in realtà tutte le altre popolazioni di S. italicus dell’Appennino tosco-emiliano fino all’Abruzzo, che sono la maggior parte, presentano un ridotto numero di aplotipi (soltanto due) caratterizzati da una ridotta variabilità e divergenza. Per S. a. bianchii il pattern geografico di distribuzione degli aplotipi ha evidenziato una maggior frammentazione genetica rispetto agli allozimi. Il network degli aplotipi e la loro distribuzione geografica suggeriscono un’espansione verso sud-est che avrebbe portato S. a. bianchii in contatto con le popolazioni di italicus sulle Alpi Apuane per formare la zona di contatto analizzata.
Per quanto riguarda la struttura della zona di contatto, l’esame della distribuzione delle classi di indice ibrido per popolazione mostra, per le popolazioni del fronte di contatto, una distribuzione unimodale, secondo recenti classificazioni di zone di contatto in uni- e bimodali (Jiggins & Mallet 2000a). La zona di contatto analizzata sembra essere unimodale dato che nelle popolazioni del fronte di contatto i genotipi intermedi sono costituiti da individui fortemente ibridi come emerge dall’indice di ibridazione e dal test di assegnazione degli individui alle classi genotipiche; mentre le popolazioni introgresse bianchii e italicus ai lati del fronte di contatto sono costituite da individui frutto di generazione di backcrosses avanzati. Nel centro inoltre non sono stati trovati né individui parentali né ibridi di prima generazione.
Esistono un certo numero di zone di contatto con distribuzione unimodale che sono classificate come zone di tensione, che differiscono per il grado di incompatibilità post-mating raggiunto dai taxa venuti in contatto. In queste zone i clini che vengono a formarsi nell’andamento delle frequenze alleliche ai loci discriminanti, rappresentano una barriera al flusso genico la cui forza è indirettamente misurata dalla coincidenza dei clini in un centro comune e da un andamento parallelo. L’andamento dei clini riflette l’andamento dell’introgressione e cioè la penetrazione degli alleli da un pool genico all’altro. L’ostacolo all’introgessione è stato stimato sulla base dei disequilibri genetici rilevabili soprattutto nel centro della zona stessa, e cioè sulla base dei linkage disequilibria e dei valori di deficit di eterozigoti. Questi parametri in un certo senso rendono conto dell’entità della selezione endogena che agisce sui genomi nella direzione del mantenimento di un coadattamento genico evolutosi in allopatria all’interno dei genomi stessi e “rotto” dall’ibridazione. Nel nostro caso l’introgressione ai sette loci discriminanti è asimmetrica e cioè gli alleli di italicus non riescono a penetrare con facilità nel pool genico di bianchii, come emerge anche dai valori di linkage disequilibria e deficit di eterozigoti delle popolazioni della zona di contatto, soprattutto di bianchii introgresso appunto. L’introgressione è anche differenziale, cioè i clini hanno un andamento differente ai sette loci che si possono classificare in loci a scarsa o nulla penetrazione, e loci ad ampia penetrazione. Una spiegazione possibile è che la selezione agisca in misura variabile sui sette loci determinando un pattern di introgressione asimmetrico e differenziale. Di conseguenza risulta evidente la presenza di un ostacolo al libero rimescolamento dei due pool genici , come confermato dall’osservazione che allontanandosi dalla zona i valori dei disequilibri decadono coerentemente con l’aumento delle generazioni di backcrosses.
Le zone di tensione sono mantenute da un bilanciamento tra l’afflusso di parentali (e conseguente formazione di ibridi di prima generazione) e la controselezione degli ibridi (Barton 1979; Barton & Hewitt 1985). La zona di contatto e ibridazione qui studiata non può essere classificata come una zona di tensione, sebbene ne presenti alcune caratteristiche come variazione clinale delle frequenze alleliche, deficit di eterozigoti e linkage disequilibria al centro. Il motivo risiede nel fatto che gli individui parentali non possono effettuare long-distance dispersal proprio per la loro bassa vagilità, di conseguenza non si possono continuamente generare individui ibridi di prima generazione nella zona stessa. Le barriere post mating soprattutto di natura endogena, non mostrano che ci sia, come in altri casi, una forte selezione contro gli ibridi, in quanto la fertilità dei backcrosses ha reso possibile l’introgressione di alcuni alleli a vari loci, soprattutto nel pool genico di italicus, anche su lunghe distanze. Tuttavia l’ibridazione non favorisce il completo e neutrale mixing tra le specie, che mantengono un differenziamento genetico sia a livello allozimico che mitocondriale. Quindi sebbene i due taxa ibridanti non abbiano ancora sviluppato efficaci barriere di isolamento riproduttivo pre-mating, l’asimmetria e differenzialità dell’introgressione e il grado di differenziamento genetico confrontato anche con altre specie di pletodontidi (Nascetti et al. 1996), suggeriscono che i due taxa possano essere comunque classificati come specie distinte.
A livello mitocondriale le due specie sono ancora più distinguibili a causa della mancata introgressione (tranne in due popolazioni del fronte di contatto), che sembra attribuibile come dimostrato in altri casi di zone di contatto, ad un dispersal sex-biased ed in particolare a carico dei maschi. Questo fino ad oggi era solo ipotizzabile in Speleomantes, sulla base di studi condotti su singole popolazioni con lo scopo di identificare l’home range, che è risultato più ampio nei maschi che nelle femmine (Pastorelli et al. 2002).

In the last twenty years the study of hybrid zones has been increased and dealt successfully (Arnold 1992).
Hybrid zones are “natural laboratories” to investigate microevolution processes, in particular the evolution of the reproductive isolation mechanisms in geographically isolated taxa that subsequently met and hybridized in a secondary contact (Barton & Hewitt 1985). Indeed hybrid zones have been recently considered in phylogenic and phylogeographic studies (Garcìa-Parìs et al. 2000; Weisrock et al. 2005; Bonnet 2002; Sites et al. 2004; Hewitt 2001, 2004).
At the beginning of the study of hybrid zones, they had been studied mainly by an electrophoretic approach (Szymura & Barton 1986; Cesaroni et al. 1992; Muller 1998; Jones & Collins 1992).
At present a multi-markers approach (molecular markers coupled with ecological and morphological data) is preferred; for instance matching nuclear and mitochondrial markers allows showing patterns and evolutive processes otherwise unsuspected (Alexandrino et al. 2000; Szymura & Barton 1991; Szymura et al. 2000; Jiggins et al. 1997; Cianchi et al. 2003) as well as inferring on the taxonomic status of the species that meet and hybridize (Phillips et al. 2004). Indeed the DNA markers have been very useful in describing subspecific divergence and geographical species subdivision (Avise 1998). In particular, mitochondrial DNA is suitable for studies concerning molecular evolution, hybrid zones, phylogeny and colonization events. This is due mainly to its molecular (Wilson et al. 1985) and inheritance properties (Gyllensten et al. 1985; Avise 1998). The rate of divergence of the mtDNA is 5-10 times faster than nuclear DNA (Brown et al. 1979); it is fast enough to show populations differences across a species range, and slow enough to skip saturation problems over a few million years. In the study of hybrid zones the mtDNA allows to investigate the direction of the gene flow and to verify if it is sex-biased or not (Avise & Saunders 1984; Carr et al. 1986; Nelson et al. 1987; Szymura et al. 1985; Taylor & Herbert 1993), allowing ecological and ethological inferences (Louise et al. 2001).
In the Plethodontid family a few hybrid zones have been investigated so far (Hairston et al. 1992; Yanev 1980; Wynn 1986; Wake et al. 1980; Karlin & Guttmann 1981), and this is the only one found in the genus Speleomantes.
It has been recently demonstrated that the species Speleomantes ambrosii includes two geographically and genetically distinct forms: S. ambrosii ambrosii, from the area of La Spezia on the hydrographic right side of the Magra river, and S. ambrosii bianchii, ranging from Massa Carrara area to the west side of the Apuane Alps. In this area previous studies, carried out using allozyme electrophoresis, have shown that the two taxa S. a. bianchii (Lanza et al. 2005) and S. italicus have met and hybridized (Cimmaruta 1993; Nascetti et al. 1996); so the aims of this study have been the following:
· Describing the genetic structure of this hybrid zone in terms of genetic variability and genetic differentiation.
· To assess collocation and width of the contact front between species, then to infer eco-ethological hypotheses, and also concerning the establishment dynamic of the zone.
· To study the introgression patterns referred to discriminant loci between the two species also based on a genetic disequilibria approach (heterozygotes deficit and linkage disequilibria).
· To assess the presence of sintopy of parental specimens and first generation hybrids. Then, considering the hybrid index and the posterior probability samples attribution test to various genotipic classes, to classify the hybrid zone as uni- or bi-modal, and to confirm or not the attribution of this hybrid zone to a well studied tension zone model.
300 specimens were processed from 38 populations. Within this study a RFLP protocol has been set up to investigate the mitochondrial genome of Speleomantes species. The fragment amplified is 501-bp-sized of Cytochrome b region, corresponding to 16,580 (5’end) and 17,078 (3’end) of Xenopus laevis (Roe et al. 1985). The specific haplotypes characterising the taxa S. italicus, S. a. ambrosii and S. a. bianchii have been obtained using a set of four restriction enzymes. It has been sequenced one more fragment of Cytochrome-b (838bp-sized including the 501-bp-sized) corresponding to 16,267 (5’end) and 17,051 (3’end) of Xenopus laevis (Roe et al. 1985), for 162 specimens belonging to 35 out of 38 populations of S. a. ambrosii, S. a. bianchii, S. italicus and introgressed, providing twenty haplotypes.
Pletodonthid salamanders are lungless with subcutaneous and bucco-pharyngeal respiration and so they are strongly associated with underground retreats, offering a steady cold and moist environment (Lanza et al. 1995). These features coupled with low vagility and restricted home ranges, make Speleomantes’ geographic distribution strongly affected by climatic variations. On the geological scale the climatic variations of the Quaternary had great influence in shaping the genetic structure of the populations belonging to genus Speleomantes, likely by the dynamic of “flush” (expansion) and “crush” (contraction) of the populations also belonging to S. a. bianchii and S. italicus (Forti et al. 1998). The southern part of the Ligurian Appenine has been identified as a glacial refuge for S. a. ambrosii and the Apuan Alps for S. a. bianchii and for other animal and plant species (La Greca 1970; Mariotti 1984; Pignatti 1994; Kropf et al. 2002). From their glacial refuges S. a. bianchii and S. italicus populations expanded and met forming the hybrid zone because of the lack of complete reproductive pre-mating barriers.
The two taxa have discriminant alleles fixed at 7 out of the 20 polymorphic loci studied, corresponding to a Nei’s distance of 0,46. The hybrid zone is quite narrow, about twenty kilometers long, and the centre of the zone is on the Apuan Alps at Cave Henraux (LU) locality. The contact front is about two kilometers width and seven long. It has been possible on the basis of the genetic characterization of the zone (UPGMA, RFLP and aplotype patterns), to consider the two species as genetically distinct, although the allelic introgression occurred. The mitochondrial haplotype frequencies (sequences) widely remark the genetic differentiation between the species, never showing the coexistence of S. a. bianchii and S. italicus haplotypes except for one population (IIS) in wich two ambrosii aplotypes cohexist with one italicus aplotype.
By comparing nuclear and mitochondrial markers, it has been likely to hypothyze a recent expansion of the S. italicus populations from the central Tuscan-Emilian Appennine towards the southern part of Appennine Chain, reaching Abruzzo. These central and southern populations, rapresenting the majority of S. italicus populations, are characterized by a very low genetic variability (allozymes), by a very low number of RFLP and a low divergence and variability of the haplotypes. S. a. bianchii populations on the Apuan alps show an higher genetic fragmentation using mitochondrial markers respect to allozymes. It is likely to hypothyze on the basis of the aplotype network, a south-eastern expansion from the eastern populations of the S. a. bianchii across the transect towards the contact front with the Apuan Alps S. italicus populations, where the contact zone has been primarily formed.
The structure of the hybrid zone has been classified as unimodal following recents hybrid zones classifications as unimodal or bimodal (Jiggins & Mallet 2000a). This zone appears to be unimodal because of the genotypes in the contact front are strongly hybrid as shown by the hybrid index and by the posterior probability attribution test to various genotipic classes. At the edge of the contact zone centre, populations are formed only by far backcrosses specimens. In the contact zone there are not parental specimens neither F1 hybrids.
Most of these unimodal hybrid zone are tension zone, characterized by different degrees of post-mating incompatibility and by a clinal variation in many characters expecially in the allelic frequencies at the discriminant loci. Those clines rapresent a barrier to gene flow; as more this barrier is strong as the clines become parallel and coincident in a common centre. The barrier to introgression of foreign alleles in one specific gene pool, has been estimated also on the basis of genetic disequilibria (linkage disequilibrium and heterozygotes deficit) mainly found on the hybrid zone centre. These parameters express the level of endogenous selection acting against the breakdown of the parental genomic coadaptation, reached in allopatry, by the hybridization. Allozymes show an asymmetric introgression, with S. a. bianchii alleles strongly entering into S. italicus gene pool, far away from the contact zone for some loci; on the contrary the S. a. italicus alleles are not easily incorporated in the bianchii gene pool as emerged by linkage disequilibria and heterozygotes deficit among the populations belonging to the contact zone, expecially among S. a. bianchii introgressed populations. The level of introgression varies at different loci: we have loci with low, middle and high penetration. It is likely that selection might act indipendently on seven loci determining the asymmetric and differential introgression patterns observed. Then there is a barrier to a free exchange of alleles between the two taxa in both directions, as confirmed by the progressive decay of disequilibria as the backcrosses generations increase moving away from the contact zone.
This hybrid zone otherwise cannot to be considered as a tension zone because of the impossibility of long distance dispersal of parental genotypes to the centre of the zone and the consequent first generation hybrids formation. Then selection cannot act against the F1 hybrids and balance the immigration of the parental genotype to the centre of the zone, that is the main characteristic of the tension zones.
In our hybrid zone the post mating barriers do not show a strong selection against hybrids as shown by backcrosses viability that allowed introgression to occur in a asymmetric and differential way, mainly into the italicus gene pool even on long distances.
Althought hybridization occurred, it did not permit a complete and neutral mixing between the species which maintain a genetic differentiation either on nuclear or on mitochondrial level. So they can still be considered two different species either considering the type of introgression (asymmetric and differential), or comparing genetic differentiation with other plehodontid species (Nascetti et al. 1996).
At the mitochondrial level the two species are strongly distinguishable because of the quite complete lack of haplotype introgression, except for two populations in the centre of the contact zone. It could be likely due to a sex-biased dispersal and in particular male-biased, as observed in other hybrid zones. Untill now this last eco-ethological consideration has been only hypothezed for Speleomantes, due to fact that the male home range seems, in single populations, wider than the female one (Pastorelli et al. 2002).
Description: 
Dottorato di ricerca in Ecologia e gestione delle risorse biologiche
URI: http://hdl.handle.net/2067/240
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