Storia e immaginario storico nella rete e nei media più tradizionali



Ad Anna, che è cresciuta assieme alla rete

 Introduzione

Due anni di seminari sulla cultura digitale e alcuni esperimenti di insegnamento multimediale mi hanno ovviamente convinto delle potenzialità didattiche delle nuove tecnologie. Tuttavia hanno pure confermato quanto suggeriva anni fa Bruce Sterling. Durante un seminario del Centro Studi Americani di Roma, lo scrittore aveva dichiarato di avere sulla scrivania più potenza tecnologica di quella a disposizione di Eisenhower al momento dello sbarco in Normandia e tuttavia di temere che quell'arsenale non fosse sufficiente a promuovere una vera rivoluzione culturale. Grazie ad esso gli intellettuali potevano diffondere più rapidamente le proprie opere e farle leggere anche al di fuori dei canali commerciali tradizionali. Grazie ad esso era possibile informare la cittadinanza, scavalcando i tradizionali monopoli mediatici. Ma, continuava Sterling, il progressivo allargarsi della rete e l'aumento dell'offerta informativa avrebbero aumentato la confusione del cittadino desideroso di sapere. Per quest'ultimo sarebbe divenuto sempre più difficile capire cosa valesse veramente la pena di leggere sullo schermo e dove cercare le notizie utili. Perciò Sterling riteneva che solo i grandi monopoli avrebbero alla fine beneficiato dell'espansione del Web e del'innovazione tecnologica, poiché erano gli unici ad avere le disponibilità economiche per perimetrare la rete e per rendere sempre disponibili i propri prodotti. Lo scrittore concludeva che ci si trovava di fronte a una situazione nuova, ma in fondo analoga a quanto accaduto quando si erano affermate la radio e la televisione. Aggiungeva inoltre che agli intellettuali si apriva una nuova professione, anzi una nuova funzione: quella di redigere mappe e guide che permettessero la navigazione nei settori in cui l'informazione era libera da monopoli.
Il discorso di Sterling era un po' vago, come spesso accade con gli autori americani: non era chiaro cosa fosse un intellettuale (uno scrittore? un esperto della rete? un produttore di controinformazione?) e soprattutto il discorso sui monopoli finiva per non precisare chi fossero realmente i nemici della libertà. In compenso, negli anni successivi a quell'incontro, la previsione sulle conseguenze negative dell'aumento d'informazione si è rivelata sin troppo vera. Ovviamente essa non era del tutto nuova: è infatti una vecchia acquisizione delle teorie della comunicazione l'idea che un eccessivo "rumore di fondo" impedisca di cogliere il messaggio. Tuttavia Sterling non parlava di rumore, quanto dell'impossibilità di scoprire alcuni indirizzi senza l'aiuto di esperti. In pratica diceva che il vero controllo non era sulla produzione, ma sulla distribuzione e sull'accesso all'informazione, anche a quella gratuita. La questione ha evidenti conferme in Italia, un paese avanzato pur essendo ai margini del capitalismo internazionale: ormai non è difficile creare sul Web un sito, un giornale, una radio, una televisione, oppure pubblicare un e-book o un cd; il problema è farli conoscere. In alcuni casi tali difficoltà sono conseguenza di strategie censorie, in altri di comuni pratiche di mercato e in altri ancora sono dovute soltanto all'enorme espansione dell'industria informativo-culturale. Il Web si espande più rapido delle galassie; la carta stampata divora foreste e tutti scrivono troppo; cd, dvd e videocassette intasano i nostri tavoli e i nostri scaffali. Alla fine tante  informazioni ci sfuggono, proprio perché abbiamo troppe fonti a nostra disposizione.
Sembra dunque che l'unica funzione intellettuale rimastaci sia quella di mettere ordine in questa babelica confusione. E se questo è evidente da tempo nei settori che stanno più a cuore agli autori del digitale (i romanzi, il cinema, la musica, i fumetti e tutti i nuovi modi di espressione), ora sta divenendo essenziale anche nell'ambito della produzione storica in rete. Siti ed iniziative accademici si aprono a fianco di indirizzi amatoriali, spesso con esiti discutibili in entrambi i casi. L'offerta è grande, pur se di ineguale levatura, e i fruitori non sanno neanche quante e quali risorse siano a loro disposizione.
Dopo aver preso atto dell'avverarsi di parte delle previsioni di Sterling, ho iniziato nel 1999 a recensire siti, ipertesti e cd-rom su varie pubblicazioni di divulgazione storica e ho presentato i risultati delle mie escursioni nelle ore di lezione. Progressivamente, però, e lo si vedrà anche nei capitoli che compongono questo e-book, ho utilizzato i materiali della rete o quelli offerti da altra strumentazione digitale (cd-rom, dvd, e-book) non tanto per il loro valore didattico, quanto perché mettevano in risalto quale percezione un pubblico colto, come quello dei produttori e dei fruitori di siti ad argomento storico, avesse delle differenti epoche e dei personaggi della storia occidentale. Ho quindi usato il materiale in rete come documento da analizzare, oltre che come repertorio di dati o come strumento didattico. D'altronde non credo in una didattica che rinunci al momento analitico, né che un buono strumento didattico non meriti a sua volta di essere analizzato perché emblematico del suo tempo. Inoltre ho comparato siti creati con finalità accademiche e siti pensati come meri divertissements. Infine non ho separato la selva digitale dagli altri media o da altre forme di espressione. I fumetti, il cinema e soprattutto i libri sono così entrati a far parte del mio orizzonte di riflessione. In particolare i libri sono stati sempre presenti, anzi alla base di ogni mio lavoro, anche di questo e-book, è il parallelo fra libri e siti o cd. Ritengo infatti che si debba contestare la tesi assai diffusa, ma straordinariamente falsa e soprattutto falsante, che situa il digitale nel regno dell'oralità o della visualità, se non dell'analfabetismo tout court. Il Web e in genere la produzione di rete rivelano una straordinaria continuità con l'universo alfabetico e sono in genere dominati  e frequentati da persone di notevole livello culturale, se non accademico. Inoltre sono un eccezionale strumento di (ri)alfabetizzazione. Se ci rivolgiamo all'elaborazione storiografica in rete, vediamo che la maggior parte dei documenti sono dovuti a istituzioni universitarie (negli Stati Uniti gli indirizzi terminanti in ".edu" forniscono ottimo materiale storiografico e didattico), a grandi collezioni archivistiche (ne è un buon testimone il sito degli Archivi nazionali statunitensi: http://www.nara.gov) od iconografiche, a gruppi di ricerca internazionali. Persino gli indirizzi amatoriali ostentano una discreta conoscenza di quanto edito nel settore specifico, mentre i siti commerciali (attualmente in crescita) tengono sempre d'occhio la lista dei saggisti di successo.
Non è quindi possibile offrire una guida sulla storia in rete, senza incrociare le produzioni specificamente digitali con quelle più tradizionali. Tra l'altro proprio questo incrocio fa risaltare la nascita di nuove koiné storiografiche. Un caso eclatante è quello che oggi vede l'avanzata del cosiddetto revisionismo storiografico. Senza affrontare analiticamente le caratteristiche di quest'ultimo, anche se meriterebbero una messa a fuoco meno sbrigativa di quella sinora accordatagli da estimatori e avversari, è importante rammentare come inizialmente sia stato un prodotto della stampa quotidiana e settimanale. Poi abbia teso a recuperare, anche a prezzo di patenti distorsioni, grandi maestri del passato recente, quali Renzo De Felice e François Furet. Infine si sia affermato in ambito accademico, soprattutto per una questione di ricambio generazionale, e oggi si riverberi dall'università ai quotidiani, dalla televisione alle videocassette, dai libri al Web. Simili percorsi hanno portato alla costruzione di un universo storiografico multimediatico assai complesso da analizzare, perché bisogna tener conto dei molteplici livelli di interazione e soprattutto del fatto che la catena di produzione presenta discontinuità di lavorazione e di linguaggio. Il De Felice volgarizzato da Pasquale Chessa in Rosso e nero (1995) non è lo stesso autore della ponderosa biografia di Mussolini edita da Einaudi a partire dal 1965), anzi appare in difficoltà nel trasformare in aforismi giornalistici le riflessioni nate da una ricerca di sì lunga vena. La sua impostazione risalta maggiormente nella Storia d'Italia in videocassette, redatta assieme ad altri studiosi, oppure nei cd-rom sul fascismo, curati da suoi allievi e nel 2001 allegati al settimanale "Panorama", e tuttavia in entrambi i casi, ma soprattutto nel secondo, è annacquata da esigenze in buona parte extra-accademiche.
In effetti un libro (e a maggior ragione un sito) universitario è un prodotto industriale, perché frutto di una tecnologia industriale (i programmi con cui è scritto al computer, gli strumenti con i quali è stampato), ed è rivolto a un mercato, ma il linguaggio e i modi con cui è redatto non sono per forza uguali a quelli di altri prodotti che pur sfruttano analoghe tecnologie e si rivolgono allo stesso pubblico. Non a caso sono pochissimi gli autori che sappiano mantenere uno standard uniforme operando attraverso media diversi. Tuttavia gli storici, anche i meno predisposti alle innovazioni tecnologiche e agli scambi mediatici, possono intrattenere fruttuose relazioni culturali con gli operatori di altri media o con scrittori e giornalisti di più facile vena: si pensi al solido legame tra Paolo Mieli e il citato De Felice (confronta al proposito la premessa a Paolo Mieli, Le storie la storia, Milano, Rizzoli, 1999).
Non so se riuscirò a rendere nel mio testo tutto lo spessore di questi molteplici incroci: il lettore deve quindi tenere sempre a mente, quale prima regola aurea, che tutte le asseverazioni e le ipotesi storiografiche, circolanti nel Web, riflettono qualcosa che è già stato scritto in un libro o mostrato in un film. (Non voglio aprire qui un altro fronte, mi limito perciò a rammentare solamente che secondo molti studiosi, il cinema è stato l'unico vero momento di riflessione storiografica del Novecento: cfr. Revisioning History. Film and the Construction of a New Past, a cura di Robert A. Rosenstone, Princeton, Princeton University Press, 1995, e Id., A History of What Has Not Yet Happened, "Rethinking History", 4, 2, 2000. pp. 183-192). È invece nuovo il tentativo della storiografia in rete di rendere la mutevole ricchezza della storia passata, giocando sulla multimedialità e quindi sulla resa di una più complessa archeologia del passato. Analizzerò nella seconda parte il sito dell'Università di Chicago, nel quale si dà conto (e spesso anche il testo) di tutti gli spettacoli teatrali visibili a Parigi negli anni della Rivoluzione. Sempre nell'ambito dell'offerta americana sono assai interessanti le proposte dell'Università dell'Indiana (http://www.indiana.edu/). Quest'ultima oggi ospita la versione in rete (a pagamento) del "Journal of American History" (/~jah/) e di "The American Historical Review" (/~ahr). La seconda mette a disposizione gratuitamente un ipertesto di Robert Darnton, grandissimo storico dell'illuminismo francese: An Early Information Society: News and the Media in Eighteenth-Century Paris. La base del lavoro è l'indirizzo presidenziale che lo stesso storico ha rivolto all'American Historical Association e che quindi è stato pubblicato nel febbraio 2000 su "The American Historical Review" (vol. 105, no. 1). Nella versione telematica al testo sono aggiunte immagini e soprattutto incisioni di canzoni d'epoca. Un meccanismo analogo è tentato dal "Journal of American History". L'appena citata versione on-line offre anche un "teaching package", composto da un articolo, già stampato sulla rivista, più la riproduzione di materiali del tempo. Così una serie di riproduzioni d'articoli e di vignette di giornali contestualizza Evolution for John Doe: Pictures, the Public, and the Scopes Trial Debate di Constance Arenson Clark , uno studio innovativo sull'attacco in tribunale all'insegnamento della teoria evoluzionistica nelle aule scolastiche americane.
Su questo tema non sono mancate le riflessioni, soprattutto nel campo della medievistica, almeno per quanto riguarda l'Italia. Nella prima parte di questo e-book tornerò sui contributi della rivista telematica "Reti Medievali" e sui saggi di Andrea Zorzi (ma di questi si veda intanto Medioevo preso in rete, aggiornato a maggio 2001 e con tutti i link necessari, all'indirizzo http://www.storia.unifi.it/_PIM/AIM/risorse.htm). Ricordo qui che Pietro Corrao, uno dei redattori della rivista, ha messo a disposizione sul sito dell'Università di Palermo un'Introduzione alle risorse di rete per la cultura medievistica (http://www.unipa.it/~pcorrao/palermo.htm) che vale come premessa generale allo studio della storiografia in rete. Raccoglie infatti alcuni articoli (Abbatista, Criscione e Zorzi) sulle risorse per la storia e valuta i siti Web di alcune università americane (Cornell, Albany, Virginia, Purdue) dell'UCLA College Library e dell'Associazione Italiana Bibliotecari (quest'ultimo è per noi italiani ovviamente utilissimo, anche per fare ricerche su indirizzi esteri). Stima le capacità di due motori di ricerca (Google e Altavista), di alcuni metaindici che facilitano il lavoro su un quadro molto ampio (ancora siti universitari americani, su alcuni dei quali ritornerò più oltre, ma anche l'Institute of Historical Research, WWW Virtual Library History, History Links on the Internet), dei siti di riferimento per la medievistica (ma non solo) e di quelli iperspecializzati (Tous les savoirs du monde chrétien, per esempio, creato dalla Biblioteca nazionale francese), delle biblioteche e delle riviste con cataloghi e indici on-line, delle riviste elettroniche di storia.
La guida di Corrao può essere integrata dai link suggeriti da "Reti Medievali" (http://www.rm.unina.it/redazione), nonché, sul piano teorico, da Il documento immateriale. Ricerca storica e nuovi linguaggi, a cura di Guido Abbatista e Andrea Zorzi, "Indice dei libri del mese", maggio 2000 (edizione on-line: http://lastoria.unipv.it/dossier/), e Internet e il mestiere di storico. Riflessioni sulle incertezze di una mutazione di Rolando Minuti, versione italiana on-line di un testo per le Presses Universitaires de France (http://cromohs.unifi.it/6_2001/rminuti.html).
Minuti in particolare insiste sul problema del "miraggio" delle risorse sul Web, cioè sul fatto che troppi sperano di trovare facilmente risposta alle loro domande e poi si allontanano delusi, quando la loro ricerca non dà gli esiti sperati. Pensa quindi, spalleggiato da Zorzi, Corrao e altri autori, che la vera innovazione non sia quindi quella di mettere a disposizione un ampio spettro di materiali, ma quella di star cambiando il modo di scrivere e il mestiere degli storici. In questa prospettiva la rivoluzione elettronica ha accelerato una trasformazione della materia e dell'artigianato storico. Considerazioni analoghe sono ribadite anche da storici e in sedi più tradizionali. Paolo Prodi (sulla rivista "Il Mulino")  sottolinea come sia ormai tramontata l'immagine dell'historia magistra vitae e le si debba sostituire quella della storia come archivio dinamico del passato. In questo processo di ridefinizione epistemologica della storia si ritorna lentamente a rivalutare la sua funzione letteraria (un tema anticipato alcuni decenni or sono da Lawrence Stone, Viaggio nella storia, Roma-Bari, Laterza, 1987) e soprattutto a deprezzare una lettura teleologica delle vicende umane e della pratica storiografica. Inoltre la nascita stessa del Web pare suggerire meccanismi lavorativi e intellettivi nuovi: si pensi in primo luogo all'idea di collaborazione e di co-autoria, prima rifiutata soprattutto per ragioni concorsuali. In pratica la storia diviene (a somiglianza della rete) una raccolta collettiva di storie, che gli studiosi devono verificare, organizzare e rinarrare adattandole al pubblico cui ci si rivolgono. L'elemento intrattenitivo riacquista quindi importanza e tuttavia si accompagna a un elemento didattico-scientifico (la verifica della veridicità, perché il racconto storico non deve essere inventato; l'organizzazione o riorganizzazione della narrazione). In un certo senso si torna alla storia come exemplum, ma di organizzazione del discorso e della riflessione.
In questo processo lo storico e il docente di storia acquistano un ruolo di guide e di allenatori. Si devono impegnare ad insegnare come raccontare e come trovare le storie da raccontare. Devono disegnare i portolani con i quali fare vela tra gli archivi fisici e quelli digitali, nei siti e nelle biblioteche. Per dare il mio contributo a questa fatica ho raccolto e riscritto in questo e-book una serie di recensioni (al proposito ringrazio il mensile "Storia e Dossier" della Giunti per avermi permesso di riutilizzare alcune puntate della mia rubrica www.history) e di singole lezioni. Tutto il materiale è raggruppato in cinque parti: tre cronologiche (antichità e medioevo; antico regime; età contemporanea) e tre diacroniche. In queste ultime preciso alcuni temi affrontati nelle parti precedenti, oppure tratto argomenti come il gioco e le identità cosiddette etniche, che attraversano tutti i periodi della storia umane. Nelle prime approfitto dell'accostamento tra libri e siti prodotti negli ultimi anni scorsi per verificare anche nuove proposte di periodizzazione. Credo infatti che una migliore scansione delle cesure temporali possa aiutare la didattica e la ricerca. All'inizio di ogni singola parte una mini-introduzione cercherà quindi di definirne i confini temporali e di sottolinearne alcuni elementi caratterizzante. Tuttavia ogni parte è anche un contenitore creato a posteriori, quindi con un minimo di artificialità. Questo e-book è infatti nato per accumulo di materiali, piuttosto che per pianificazione accurata, ma d'altra parte il tornante del millennio ha costituito un momento di forte e imprevedibile rottura del tessuto culturale e storiografico, cui eravamo abituati nell'altro secolo.

Ringraziamenti

In una riflessione protrattasi nel tempo ho naturalmente accumulato moltissimi debiti. In primo luogo con Gino Roncaglia, che mi ha scarrozzato tra Roma a Viterbo, ha pilotato i seminari congiunti, ha cercato di elevare i miei standard di infonauta e di moderare la mia tendenza all'estremizzazione; senza di lui avrei comunque scritto queste pagine, ma sarebbero state ancora peggiori. In secondo luogo con Andrea Zorzi e i fondatori e collaboratori di Hi-project: ascoltando i loro discorsi e studiando i loro lavori ho imparato più di quanto sarei riuscito a fare da solo. In terzo luogo con i miei studenti e in particolare Anna Caprarelli, Marianna D'Ezio, Federico Meschini e Stefano Pifferi: le loro relazioni e le loro tesi sono state occasioni di scoprire nuovi siti (e nuovi trucchi) sino a rovesciare la tradizionale relazione tra docente e discente. In quarto luogo con mia moglie Grazia Trabattoni per tutte le discussioni sulla didattica multimediale e per avermi introdotto all'uso di PowerPoint come strumento d'insegnamento, nonché per aver tentato di spiegarmi che l'eleganza grafica è un mezzo didattico. In quinto luogo con tutti quegli amici, in primis Nando Fasce, Daniele Fiorentino, Giammario Maffioletti, Enzo Matera, Marcel Martel, Antonio Menniti Ippolito, Gilles Pécout, Leonardo Rapone e Maurizio Ridolfi che mi hanno segnalato siti o questioni da affrontare. Last, but not least desidero ringraziare Gianluca Formichi e Lorena Provenzali, che hanno rivisto decine di mie rubriche su "Storia e Dossier e mi hanno spinto a esplorare siti, cd-rom e temi storiografici in precedenza sfuggitimi, e Gaetano Platania, perché ha fatto in modo che la routine universitaria non servisse solamente a spengere la voglia d'insegnare e fare ricerca.
Come si vede la lista dei ringraziamenti è lunghissima e d'altronde non poteva essere altrimenti per un progetto che mi ha preso quattro anni e che come tutte le esperienze della mia generazione poteva essere condotto in porto soltanto "with a little help of my friends" (anche se in questo caso allucinogeni sono alcuni siti visitati, ma non di certo gli amici che mi hanno aiutato). Infine vorrei ricordare che il progetto stesso e il suo concretizzarsi hanno coinciso con la crescita di mia figlia Anna: a lei dedico quindi questo lavoro.

Parte I

La storia antica e il medioevo

I siti di storia antica abbondano. Molti rispecchiano le ricerche portate avanti da centri specializzati e da università. Altri sono più giocosi. La nostra attenzione si concentrerà soprattutto su questi ultimi, perché forse meglio rispecchiano l'immagine dell'antichità nella nostra cultura: non più magistra vitae, ma fonte infinita di aneddoti più o meno apocrifi (si veda al proposito il capitolo sul Gladiatore). A questo riguardo è ancora maggiore il ruolo che il medioevo ha conquistato, guadagnandosi il posto di epoca principale dell'immaginario umano. Tranne rari momenti nei quali la contemporaneità ha imposto la sua prevalenza, l'età di mezzo è stata quella che maggiormente ha ispirato gli studenti più dinamici negli ultimi trent'anni, quando si è creato un curioso continuum editoriale che frullava insieme la terza generazione di autori delle "Annales" (da Georges Duby a Jacques Le Goff) e i romanzi à la Umberto Eco (Il nome della rosa, Milano, Bompiani, 1980, chiudeva un primo giro di fiction medievaleggiante e ne apriva un altro, a sua volta concluso da Baudolino, Milano, Bompiani, 2000). Era perciò inevitabile che essa mantenesse tale prevalenza anche nello sfruttamento dei nuovi mezzi di comunicazione e di studio.
Ho già accennato a "Reti Medievali" e ai lavori di Andrea Zorzi, sui quali tornerò più avanti e ai quali rimando per un'approfondita e sistematica discussione delle risorse di storia medievale su Internet. Io punterò invece a indicare i siti che rivelano la funzione del medioevo nell'immaginario attuale. In questa chiave non si deve mai dimenticare che si ha di fronte un medioevo sempre rapportato ai bisogni dei nostri giorni. Un medioevo insomma che spesso trascolora nel New Age. Per averne un'idea basta digitare l’indirizzo www.walkingdream.com/wedding/, molto compulsato negli Stati Uniti. E’ un sito divertentissimo che consiglia come organizzare un matrimonio medievale. L’ideatore spiega che ha iniziato progettando le proprie nozze e impegnandosi a trovare luoghi in cui recuperare il necessario. Mette quindi a disposizione le proprie conoscenze e aggiorna un album dei matrimoni alla medievale nel mondo, sui quali registra date, foto e particolari. Offre infine una bacheca informatica, nella quale ciascuno può registrare suggerimenti, informazioni e commenti.

1. Divertirsi con l'antichità

All'indirizzo svizzero http://home.page.ch/pub/henaro/@vtx.ch/divertir.htm si trova un mini-portale "Se divertir avec l'Antiquité". La prima schermata vi permette di scegliere fra quattro percorsi: libri; cinema; cucina; giochi & cd-rom. Se cliccate "cinema", trovate alcune schede oppure potete andare su www.unine.ch/antic/ cinenat.html e leggere Antiquité et cinéma di Natacha Aubert, con una ricca serie di rimandi a film e a saggi specializzati. Se cliccate "libri" trovate una ricca lista di romanzi, ripartita in varie voci. La prima, "opere moraleggianti", vi rimanda addirittura alla critica su Les aventures de Telémaque (1699) di Fénelon; le altre sono per fortuna meno impegnative e schedano romanzi storici (Bulwer Lytton, Flaubert, Wallace, Waltari, Yourcenar) e polizieschi ambientati nell'antichità (la serie di Steven Saylor sulla fine della Repubblica romana, le opere di Daniel Chavarria su Atene e di Nino Marino su Pompei). La schedatura non è delle più complete, ma è compensata da una successiva mappa geografico-temporale, che vi apre ulteriori sezioni dedicate ai romanzi su antico Egitto, Mesopotamia, preistoria e archeologia. Infine un link vi rimbalza sull'eccellente sito bibliografico tedesco "Historische Romane über das alte Rom" (http://home.t-online.de/home/Stefan.Cramme/). Da organizzatissimo teutone, Cramme non soltanto scheda alfabeticamente (e anche in inglese) tutti i romanzi sull'antica Roma, ma aggiunge pure un indice dei personaggi, luoghi e temi, nonché un'appendice di recensioni. Sempre dal percorso librario del sito svizzero è inoltre possibile passare a un indirizzo francese che classifica tutti i romanzi storici (http://plano.free.fr/romans.htm): egizianeggianti, come quelli di Christian Jacq, Mike Waltari, Pierre Montlaur e Wilbur Smith, o tardo-rinascimentali, come le lunghe serie di Robert Merle sull'Italia del Quattro-Cinquecento e sulla Francia delle guerre di religione.
Il nostro sito svizzero offre anche notizie e link sulla cucina degli antichi e su videogiochi e cd-rom. In questa parte non si discosta molto da analoghi indirizzi, ma almeno non consiglia come cuocersi un hamburger "alla Catone", come accade in non pochi documenti americani. Pure i giochi non sono trascendentali, mentre se ne trovano di molto curiosi su una nuova rivista cartacea: Alea iacta est. Periodico di storia militare e wargame, edita a Perugia dall'Esperia e diretta da Sofia Coletti. Nel primo numero un lungo articolo e un wargame sono dedicati alla battaglia del Trasimeno (217. a.C.), mentre una serie d'interventi minori illustrano le località storiche, archeologiche e turistiche circostanti il lago. Infine una breve rassegna presenta l'invasione dei Longobardi nel 568 d.C. e offre uno scenario per "Aetas Obscura", un wargame tridimensionale "appositamente ideato per ricreare con estrema fedeltà le battaglie che hanno insanguinato l'Italia dalla caduta dell'Impero Romano d'Occidente fino all'anno 1000". Da segnalare che Esperia non soltanto pubblica riviste e wargames, ma gestisce http://www.ancientwars.com per vendite on-line e consulenza storica nella costruzione di plastici e diorami.
Tra Italia, Francia e Svizzera è facile procurarsi in rete notizie su videogiochi e wargames, romanzi e film storici. È invece restato a lungo scoperto il  settore dei fumetti. Ora, però, www.bdnet.com ha una sezione particolare dedicata alle "avventure storiche". Se poi ne volete sapere di più, potete usufruire del link a "L'histoire par la bulle" e vi troverete a histoire-bulle-webjump sul sito http://freehosting2.at.webjump.com, dove un gruppo di studenti universitari hanno schedato quasi tutti i fumetti storici francesi. Per un'analisi più approfondita di questo sito leggete più avanti la quarta parte di questo e-book.

2. Vercingetorige

L’uscita nelle sale europee e nordamericane della coproduzione cinematografica Francia-Canada di Vercingétorix-Druids (regia di Jacques Dorfmann) non è stata l’unica tappa della riscoperta dell’eroe gallico all’alba del terzo millennio. Christian Goudineau del Collège de France gli ha per esempio dedicato Le dossier Vercingétorix (Arles, Actes Sud, 2001), un volume mirato a ricostruire la fortuna del personaggio. Quest’ultima è infatti assai peculiare. In Francia nessuno aveva prestato veramente attenzione alla rivolta dei Galli contro Giulio Cesare sino alla caduta di Napoleone e tutta la vicenda era documentata soltanto dal De bello gallico, che ovviamente riportava il punto di vista del vincitore. Inoltre i libri di storia francesi ricostruivano la storia della propria patria soltanto a partire dall’invasione dei Franchi. Invece tra il 1820 e il 1828 François Guizot e Amédée Thierry, fratello del più noto Augustin, dedicano un numero spropositato di pagine a quelli che ritengono i veri progenitori della Francia, soprattutto di quella liberale cui appartengono. Nell'ottica della resistenza a una monarchia reazionaria, i Galli divengono gli eroi della libertà e Vercingetorige diviene la figura più illustre della lotta contro la tirannide, perché ha saputo ribellarsi a Cesare, l'uomo che ha provocato la fine della Roma repubblicana e la nascita dell'impero.
Il mito propagandato da quegli storici si rafforza dopo la sconfitta del 1870 per mano della Prussia. Vercingetorige diviene allora il simbolo del vinto che ha scelto di arrendersi per far risparmiare i propri uomini e ha sofferto in catene per sei anni senza mai rinunciare alla propria dignità. La Francia deve quindi imitare il suo esempio e mostrare al mondo intero di essere vinta, ma non doma. L’eroe diventa quindi una figura centrale dei manuali di scuola e al contempo affascina la storiografia accademica. La sua fortuna è infine ratificata dal successo ottenuto da Camille Jullian con Vercingétorix (Paris, Hachette, 1901), un vero best-seller di inizio secolo.
L’indice dell’opera di Jullian è sul Web (http://www.entrelacs.tm.fr/entrelac/verc0100.htm) e fa parte dei tanti siti semi-amatoriali dedicati alle glorie della Francia. Il mito vero e proprio di Vercingetorige si è, però, appannato nel corso del Novecento e sarebbe quasi del tutto dimenticato, se non fosse per i fumetti: dalla notissima serie comica di Astérix di Goscinny e Uderzo alla meno nota, ma non meno interessante, Extraordinaire aventure de Alcibiade Didascaux di Crane e Clapat (in particolare i tre tomi di Alcibiade Didascaux chez les Gaulois). La rete francese si mostra più vicina agli albi appena citati, che ai manuali di scuola, e offre numerose pagine ai Galli e Vercingetorige: al nome di quest’ultimo Alltheweb elenca per esempio 4.149 pagine ed Altavista 3.164.
Molte sono ovviamente dedicate al recente film di Dorfmann, altre sono mere elencazioni di date o di bibliografie. Tuttavia qualcuna è didatticamente interessante. La città di Clermont-Ferrand offre una bella presentazione in Flash del panorama al tempo dei Galli (http://www.ville-clermont-ferrand.fr). Un sito pedagogico utilizza il film per suggerire ai maestri delle elementari come presentare l’eroe agli studenti (http://histoireen primaire.free.fr/textes/vercingetorix.htm). Il College of Education dell’Università di San José in California presenta la lotta contro Cesare nell’ambito di una ricognizione dei nemici di Roma in un modulo didattico sulla città eterna segnalato dal premio Discovery Channel School (http://myron.sjsu.edu/romeweb/ENEMIES).
Altri indirizzi sono quantomeno curiosi. Non è male il gioco militare Alésia – 52 av JC disponibile ad http://perso.club-internet.fr/fredbey/alesia.htm. Le informazioni sul gioco sono inframezzate da informazioni storiche, divulgative ma bene organizzate, inoltre un testo assai dettagliato riporta il dibattito sulla localizzazione di Alesia. Lo stesso sforzo anima la biografia di Vercingetorige e la descrizione della battaglia ad http://ymorere.multimania.com/vercin_f.htm.
Sulle stesse questioni tornano molte pagine dell’Institut Vitruve (http://www.alesia.asso.fr). In esse è ricostruita la polemica attorno al luogo esatto della battaglia, al suo panorama e all'andamento dello scontro. Sono inoltre offerte foto delle ricerche archeologiche e immagini pittoriche dedicate fra Otto e Novecento al mito del comandante gallo, nonché un dossier giornalistico sul dibattito inerente la localizzazione di Alesia. La pagine dedicate a Vercingetorige raccolgono poi tutte le antiche testimonianze letterarie sullo stesso (Cesare, Plutarco, Strabone, Floro, Dione Cassio e Orosio) e offrono indicazioni per ulteriori ricerche.

3. Il gladiatore

Il 5 maggio 2000 è uscito in tutto il Nord America Il gladiatore di Ridley Scott, spettacolare rielaborazione del cinema epico costata 100 milioni di dollari. La risposta del pubblico ha premiato l'ennesimo tentativo del regista di far rivivere un genere filmico in decadenza. Come è noto, Scott ha rivitalizzato la fantascienza (Alien, 1979, e Blade Runner, 1982) e la fantasy (Legend, 1985); il romanzo (I duellanti, 1977) e il polpettone storico (1492: la conquista del Paradiso, 1992), il road-movie (Thelma & Louise, 1991) e il militare (G.I. Jane, 1999) virandoli al femminile; il poliziesco ambientato in Giappone (Black Rain, 1989) e l'avventuroso (L'albatross - White Squall, 1994). Più recentemente ha portato sullo schermo Hannibal, il seguito de Il silenzo degli innocenti (il celebre romanzo di Thomas Harris già adattato da Jonathan Demme nel 1991), e vuole dirigere un western.
Non sempre Scott riesce a rilanciare il filone prescelto, tuttavia il suo modo di lavorare è costantemente  uguale. Rispetta le vecchie regole e ne accentua all'inverosimile le possibilità visive, inoltre aggredisce immediatamente lo spettatore. Anche nel Gladiatore i primi cinque minuti sono fondamentali: la battaglia tra i Romani e i Germani nel 180 d.C. è del tutto inverosimile, ma al contempo epitomizza le battaglie degli ultimi 50 anni di cinema. La panoramica iniziale imprime nella mente degli spettatori lo spazio complessivo e le strategie dei contendenti; quindi le riprese dal basso, ravvicinatissime e spesso rallentate, frammentano l'azione e rendono iconici ogni movimento e ogni morte. Allo stesso tempo la brutalità delle ferite e anacronismi come l'incredibile potenza di fuoco romana (il lancio di missili infuocati è un vero e proprio bombardamento) ribadiscono che la guerra è sempre un massacro, per quanto possano essere giusti i motivi per i quali si combatte.
La battaglia e i successivi dialoghi con l'imperatore Marco Aurelio (Richard Harris) mostrano come il generale iberico Massimo Decio Meridio (Russell Crowe) non tema di battersi e soprattutto sia convinto di dover imporre la luce di Roma sulle tenebre del mondo. Massimo è quasi il figlio adottivo del vecchio imperatore e questi vuole incaricarlo di restaurare la Repubblica. Arrivano, però, Commodo (Joaquin Phoenix) e Lucilla (Connie Nielsen) e il primo - già pazzo, perché non amato da Marco Aurelio e innamorato della sorella (è uno dei punti più scontati della storia) - strangola l'imperatore e prende il potere. Massimo rifiuta di servire il patricida e fugge, uccidendo i soldati incaricati di eliminarlo, ma trova la moglie e il figlio crocifissi e bruciati, la casa e i campi devastati. Sviene per il dolore e le ferite ed è raccolto da una carovana araba, che lo porta prigioniero in Marocco: è l'episodio più incomprensibile dell'intera sceneggiatura, probabilmente la presenza degli arabi, l'incontro con un prigioniero africano e l'ispanicità dell'ex-generale garantiscono la non eurocentricità del film, mentre la Dreamworks e l'Universal avevano a disposizione una locazione marocchina per accompagnare quella maltese, dove è stata ricostruita Roma. I prigionieri sono carne da macello per le arene locali; Massimo, però, li trasforma nel team vincente. In una scena passa in rassegna i suoi, come aveva fatto prima della battaglia contro i Germani; entra nell'arena da solo e uccide tutti gli avversari; poi insulta il pubblico e questo lo elegge a proprio idolo. idolatra. Il padrone dei gladiatori, interpretato da Oliver Reed, decide allora di recarsi a Roma, dove Commodo festeggia la presa del potere con sei mesi di combattimenti.
Massimo s'impone anche nella capitale e si palesa pubblicamente. L'imperatore non può ucciderlo, perché il gladiatore è l'idolo della folla. Tenta quindi di truccare uno scontro, ma il nostro vince nonostante che il nemico sia aiutato da quattro tigri. Nel frattempo incontra Lucilla, terrorizzata dal fratello, e vari membri dell'opposizione senatoria. Infine, spalleggiato dalla sua squadra e da Proximo, che era stato affrancato da Marco Aurelio, fugge per sollevare i suoi antichi soldati, acquartierati a Ostia. È, però, ripreso, mentre i suoi amici sono uccisi o cadono in mano al tiranno.
A questo punto Commodo pugnala il gladiatore e lo obbliga a singolar tenzone. Massimo, pur in fin di vita, sgozza l'imperatore, mentre i pretoriani non fanno nulla per difenderlo. Infine, prima di raggiungere i suoi nell'aldilà, ordina la liberazione dei senatori arrestati. Il potere passa al senato, mentre Lucilla invita i Romani a far si che la morte di un uomo giusto offra alla città una nuova occasione.
L'intera vicenda è assolutamente falsa: Commodo fu eliminato da una congiura nel 192 d.C. (e non nel 180) e la Repubblica non fu mai restaurata. I costumi, gli arredamenti, le armi, i gioielli, le pettinature, il modo di salutare, il livello di confidenza tra l'imperatore e i suoi amici o nemici, i rapporti tra le classi sociali e d'età, nonché quelli tra i sessi e tra parenti, non hanno niente a che vedere con quanto ci rivelano i documenti storici. D'altra parte Scott non si è mai misurato contro la storia, ma contro la tradizione filmica e per quanto riguarda il film "romano" all'americana ("sword and sandals") tale tradizione ha inevitabilmente a che fare con Shakespeare. I Romani di Gladiator indossano quindi i costumi degli attori shakespeariani, mentre Marco Aurelio è un Lear ante litteram e i suoi due figli rifanno il verso alle tre figlie del re inglese. Alla base shakespeariana Scott aggiunge ingredienti tipicamente statunitensi: il gusto, anche pacchiano, per l'architettura romana; il tema del generale contadino (George Washington che torna alla sua piantagione e si fa pregare per divenire il primo presidente della Repubblica) e degli imperatori debosciati (Commodo è stato presentato al pubblico statunitense come il possessore di un harem composto da 300 donne e 300 ragazzi); la passione per i gladiatori.
A proposito di quest'ultima, basta notare come nei negozi on-line di videocassette è correntemente venduta una ventina di titoli. Spartacus (1960) di Stanley Kubrick e Demetrio e i gladiatori (1954) di Delmer Daves, ma anche uno stock italo-spagnolo (Mario Costa, Il gladiatore di Roma, 1963; Pedro Lazaga, I sette gladiatori, 1963; Alberto De Martino, Il gladiatore invincibile, 1963; Domenico Paolella, Ursus, il gladiatore ribelle, 1963; Mario Caiano, Maciste, gladiatore di Sparta, 1964; Umberto Lenzi, Il gladiatore di Messalina, 1964; il tardo e patetico Bruno Mattei, I sette magnifici gladiatori, 1983), più una serie di gladiatori moderni: dal primo The Gladiator (Edward Sedgwick, 1938), ambientato nel mondo dello sport, a quelli su poliziotti (il telefilm Gladiator School di James Darren, tratto dalla serie Police Story; il folle Gladiator Cop, 1995, di Nick Rotundo), pugili delle arene clandestine (Gladiator, 1992, di Rowdy Harrington), vendicatori (il telefilm di Abel Ferrara The Gladiator, 1986, nel quale il fratello di un poveretto, ucciso da un automobilista, s'incarica di liberare le strade dai guidatori pericolosi) oppure soldati o mercenari del futuro (The Gladiators, 1969-1970, di Peter Watkins; Anno 2020 - I gladiatori del futuro, 1982, di Joe D'Amato; I guerrieri dell'anno 2072, 1983, di Lucio Fulci).
Se si va su una libreria in linea, come Amazon.com, si trovano 37 libri, da Conan the Gladiator di Leonard e Leona Carpenter a The Sorrows of the Ancient Romans: The Gladiator and the Monster di Carlin A. Barton, importante saggio sulla psicologia collettiva dell'antica Roma, ripubblicato in economica dalla Princeton University Press nel 1999, e all'antologia di racconti You Wouldn't Want to Be a Roman Gladiator: Gory Things You'd Rather Not Know di John Malam e altri, che ha cercato di sfruttare il successo del film. Su quest'ultimo è poi disponibile Gladiator, la sceneggiatura di John Logan e David Franzoni con le foto di scena, nonché, con lo stesso titolo, la novelization scadente di Dewey Gram. Grazie ad Altavista si trovano nel Web 19.780 pagine su "Gladiators": siti sul film e i suoi attori, su squadre di football, su lottatori (la Gladiators World Alliance raccoglie pugili e wrestlers) e body-builders; su corsi di sopravvivenza (come quello della Gladiators Training Academy di Redwood City in California); su associazioni di reduci e persino su pollami (www.angelfire.com/va/sale/featheredgladiators).
Insomma è chiaro che la parola "gladiatore" risveglia molti echi nella cultura americana e la campagna pubblicitaria ha fatto leva su questo, grazie soprattutto al sito ufficiale del film (www.gladiator-thefilm.com) e allo speciale televisivo, Gladiator: First Look (HBO). Inoltre il sito di Crowe (www.geocities.com/Hollywood/Cinema/1501) mostra come dagli inizi del 1999 siano pubblicati articoli sul film.Tuttavia Scott ha saputo anche metterci del suo: in pratica sembra dire che nell'impero romano come in quello americano si è passati dalla vera guerra alla guerra "as entertainment", ma che quest'ultima è letale quanto la prima. D'altra parte, si pensi a Spartacus di Kubrick, la condanna della violenza militare e capitalistica è da tempo accoppiata nell'immaginario filmico americano alla rivendicazione della libertà e dell'umanità degli schiavi (e per estensione di tutti gli uomini).
A questo proposito è apparso un fondamentale libro di Natalie Zemon Davis (Slaves on Screen. Film and Historical Vision, Toronto, Vintage Canada, 2000), nel quale l'autrice de Il ritorno di Martin Guerre, pubblicato in italiano da Einaudi, nota come Kubrick riesca a parlare di storia (o forse a far parlare la storia), pur avendo costruito il suo film sulla sensibilità di un americano del secondo Ventesimo Secolo. Non credo che si possa pagare un tale tributo a Scott, nel suo film non vedo storia né in quanto materia di studio, né in quanto tenuta della sceneggiatura. C'è, però, una potenza visiva notevole, nonostante qualche difficoltà a raccordare le scene veramente girate e quelle costruite al computer, e una grande capacità di sfruttare attori bravissimi, primo fra tutti Russell Crowe, che è fisicamente l'ancora di tutto il film.

4. Arrivano i barbari

Abbiamo già segnalato come molti amino far rivivere il medioevo nel nostro presente. È anche vero, però, che quest'ultimo può servire ad illuminare il primo. Walter Pohl, Le origini etniche dell'Europa. Barbari e romani tra antichità e medioevo (Roma, Viella, 2000), s'interroga sulla genesi del primo medioevo, utilizzando categorie storiografiche tipiche dei nostri giorni, quali l'invenzione dell'etnicità. Dimostra così quanto le fonti sulle cosiddette invasioni barbariche riflettano la costruzione d'identità continuamente in fieri e creino genealogie fantasmagoriche, che vedono nei barbari soggetti provenienti da lontanissime terre e non già inseriti nella tarda romanità. È una riflessione importantissima per quanto ci dice sulle falsificazioni storiche nel tardo antico e nell'alto medioevo e su quelle nel passato prossimo o addirittura recentissimo: si pensi al dibattito storiografico sulle popolazioni barbariche tra Otto e Novecento, alla sua ripresa nella mitologia politica nazista, al suo peso oggi nelle tradizioni inventate da tanti piccoli indipendentismi regionali. Peccato che il volume italiano non sia adeguatamente curato; comunque ha il grande merito di far conoscere al lettore italiano uno storico che ha già firmato importanti lavori sugli avari e sui germani.
Ora proprio i barbari, specialmente quelli di origine latamente germanica (ma qui giustamente Pohl insisterebbe sulle tante invenzioni della storiografia), sono tra i protagonisti della rete. Talvolta si tratta di mere sigle sportive. Un motore di ricerca anglosassone vi farà, per esempio, trovare una miriade di squadre di rugby (http://www.barrhaven.rugby.com oppure http://barbarianfc.co.uk). In altri casi vi imbatterete in corsi universitari, che esplorano l'universo barbarico tardo antico (http://www.virginia.edu/~/wf8/Barbarians) o quello degli antichi greci, inventori, come è noto, del termine "barbaro" (http://www.wsu.edu.8080/~dee/MINOA).
La ricerca è tuttavia pesante: il solo Altavista vi snocciola infatti quasi 23.000 pagine. È quindi utile ricorrere a qualche scorciatoia. Una particolarmente carina è offerta dal sito Odin's Castle (http://www.odincastle.org), un maniero del cyberspazio nel quale ogni elemento architettonico rimanda a un periodo storico. Le prigioni sotterranee racchiudono i link alla preistoria e alla storia dell'antichità e poi si percorre tutto il castello, periodo per periodo, sino a ritornare in una piccola segreta che offre i collegamenti alla storia del XX secolo.
Molti ambienti del maniero di Odino offrono passaggi verso siti medievali, così le camere del re portano a indirizzi che interessano gli amanti del ciclo arturiano o di Robin Hood, le camere della regina incanalano invece verso le pagine che trattano di Ginevra. La cella del monaco fa andare alla ricerca delle crociate e il bastione informa sulla storia marittima.
Per i barbari si hanno due scelte: il cortile esterno, che proietta nell'universo dei celti, e il mastio, che fa da ponte verso i siti concernenti i vichinghi (alcuni molto interessanti, in particolare quelli sulla colonizzazione della Groelandia e la scoperta dell'America), i mongoli e varie altre popolazioni.
In genere gli indirizzi offerti sono misti: il padrone del castello non discrimina nessuno e offre link a pagine accademiche e a momenti di pura follia. Uno di questi è offerto da Arlea Anschütz e Steve Hunt, conosciutosi nella rete per la comune passione dell'antica cultura anglo-sassone (qualsiasi cosa essa sia, se riprendiamo in mano il libro di Pohl). Dall'incontro è nato un sito (http://www.anglo-saxon.demon.co.uk) che non soltanto offre materiali su quelle popolazioni e le loro ascendenze germaniche, ma racconta anche il matrimonio tra i due il 3 gennaio 1998. Il primo, ci assicurano, regolarmente e legalmente celebrato nello stato del Colorado secondo l'uso degli antichi germani.
Il problema del fascino perverso dei barbari e dei loro riti è notevole sul Web. Così il curatore di The Barbarian Keep (http://www.geocities.com/SoHo/65-70/history.html), un altro appassionato, ma meno pronto a reinventare, specifica subito che le sue pagine trattano soltanto delle popolazioni barbariche realmente esistite, anche se poi si lascia scappare che il suo interesse è frutto della lettura di Robert E. Howard, cioè del creatore di Conan il Barbaro. Il suo sito è diviso per sezioni geografiche (Scozia, Inghilterra, ecc.) e per sezioni legate a singoli gruppi barbarici (i celti, i vichinghi, gli angli, i sassoni, ecc.). Grazie a una sottosezione si finisce anche nel primo (e unico, ch'io sappia) indirizzo dedicato ai pitti (http://members.tripod.com./~Halfmoon), un'antica popolazione della Scozia, che attirava molto l'appena citato Howard. E quest'ultimo è implicitamente citato, quando il curatore, dopo aver elencato le fonti latine sui pitti, si chiede se essi, in quanto pre-celti, discendessero dai baschi o dalle scure tribù della Stigia.
C'è infine chi non ha alcuna pretesa di storicità. Per esempio http://www.wizardrealm.com/barbarians si propone come il miglior catalogo nei campi della letteratura e dell'arte fantasy, nonché dei giochi. Un'accurata lista, Barbarians on the web, vi permette di spostarvi in altri siti di fantasy, tra i quali la Hall of Big Bad Barbarian, che rimanda a sua volta a materiali cinematografici, nonché a un archivio degli scritti di Howard, cui è dedicata anche un'ampia biografia. Un'altra lista elenca invece link relativi a pagine dal contenuto più accademico: in realtà molte di queste sono al limite di qualsiasi standard universitario e insegnano come rintracciare i vostri avi barbari. In ogni caso anche qui vanno per la maggiore germani, celti e vichinghi.
Tutti i documenti citati sono assai complessi. Viene quindi da chiedersi perché qualcuno abbia fatto tanta fatica per crearli e perché varie persone sacrifichino ad essi tanto tempo. Il curatore di Wizardrealm risponde che lo ha fatto perché non trovava mai buone indicazioni sui giochi di ruolo ambientati in terre barbariche. Aggiunge, però, che continua a farlo "perché da molto tempo si è identificato con le antiche culture germaniche e celtiche". Lo stesso fenomeno psicologico è testimoniato da Diether Etzel, che nel suo sito http://art1.candor.com/barbarian ricorda il trasporto giovanile per le gesta eroiche dei barbari. Molti poi sottolineano, soprattutto nel mondo anglosassone (in Italia giusto un sito turistico, http://www.ggg.it/Sicilia2/storiabarbari, dà altrettanto a tematiche in qualche modo analoghe) come tante parole, oggetti, festività e cerimoniali del nostro mondo siano in fondo di origine barbarica e che quindi è giusto ritrovare e conservare le proprie radici. Questi studi fantastici sui barbari sembrano quindi funzionare come una postilla a Pohl e suggerire che l'invenzione di genealogie barbariche è un fenomeno che continua.

5. Medioevi multimediali

Lo studio del medioevo in rete è un argomento affascinante, cui Andrea Zorzi ha dedicato due intelligenti articoli introduttori già alcuni anni fa (Medievisti nelle reti e Il medioevo di Internet, “Quaderni medievali”, 44, dicembre 1997, e 45, giugno 1998: disponibili anche all’indirizzo dell’Università di Firenze: storia.unifi.it/_pim/aim/risorse), poi ripresi e aggiornati in una serie di interventi già ricordati. Tuttavia la sua applicazione pratica è tuttora ricca di sorprese, anche negative, soprattutto se confrontata alla produzione libraria e a quella di altri supporti informatici o comunque mediatici.
Nell’ambito della nuova offerta televisiva la RAI sta cercando di organizzare trasmissioni a tema, tra le quali anche cicli di argomento medievale o paleografico. Sembra, però, che l’attuazione si scontri con la difficoltà di correlare la lezione vera e propria e le immagini. Era un problema che si avvertiva già in precedenti esperimenti, nei quali il discente addormentava il pubblico, mentre scorrevano immagini non sempre ben collegate a quanto si veniva dicendo. Adesso è tuttavia acuito dalle possibilità che le nuove tecnologie offrono e che invece sono di sovente sprecate.
Un esempio di questa triste eventualità è offerto da un cd-rom, I codici di Bobbio, realizzato dal locale comune nel 1998, con la consulenza scientifica di Paolo Garbini e Marco Pizzo. Come è noto l’abbazia di Bobbio, nell’odierna provincia di Piacenza, è stato uno dei più importanti scrittori italiani e grazie ai suoi monaci sono stati tramandati numerosi testi. La biblioteca dell’abbazia era famosa e già nel X secolo conteneva 690 codici. In seguito, però, proprio la sua fama venne a nuocerle. Nel Quattrocento la frenetica ricerca di testi antichi portò infatti al saccheggio degli antichi depositi librari e al migrare dei codici verso le nuove biblioteche (Vaticana in testa) delle grandi capitali. Alla fine di quel secolo Bobbio possedeva soltanto 243 codici, ridotti a neanche un centinaio 200 anni più tardi. Infine nel 1803 quello che restava fu messo all’asta. Oggi possediamo copia, trascrizione o frammenti di 198 codici di Bobbio, neanche un terzo di quanto era raccolto nella biblioteca durante il X secolo. La maggior parte delle opere sopravvissute è distribuita tra Ambrosiana di Milano, Nazionale di Torino e Vaticana; il resto tra Nazionale di Napoli, Laurenziana di Firenze e alcune biblioteche europee (Berlino, Cambridge, Parigi, ecc.). La produzione di un cd che riassumesse quanto abbiamo ancora, anche soltanto sotto veste d’inventario ragionato, appariva quindi una grande occasione. Invece, aprendo il nostro cd, ci troviamo davanti all'equivalente di una di quelle brossure che gli EPT facevano per pubblicizzare itinerari locali.
Il lavoro è ripartito in due sezioni, una italiana e una inglese. Da una pagina introduttiva si può andare a vedere esempi di produzione, ripartiti cronologicamente: il problema è che è scelto un solo manoscritto di ogni secolo e di esso si danno le note tecniche, la trascrizione, la traduzione e l’immagine del retto o del verso di una sola carta. Un sistema d’ingrandimento permette di scrutare i particolari di quella sola immagine, ma è tutto qui.  E’ inoltre possibile passare dalla pulsantiera inferiore della schermata introduttiva ad alcuni brevi testi su come si produceva un codice, oppure sulla diffusione dei codici di Bobbio, con una bella animazione che ne mostra i movimenti sulla carta europea. Infine e misteriosamente si richiede una password per uscire.
Un altro caso curioso di discrasia rivelata dalle moderne reti informatiche appare lavorando a partire da due bei libri sul nepotismo appena pubblicati dalla Viella di Roma: Sandro Carocci, Il nepotismo nel medioevo. Papi, cardinali e famiglie nobili, e Antonio Menniti Ippolito, Il tramonto della curia nepotista. Papi, nipoti e burocrazia curiale tra XVI e XVII secolo. Si tratta di due libri belli ed importanti, dall’approccio innovativo e soprattutto estremamente aggiornati sulla produzione storiografica corrente. Il secondo sottolinea anche come sia ormai spontaneo testare ogni ricerca sul Web e inoltre sfogliare gli schedari informatizzati delle più grandi biblioteche. Bene se si va in rete, ricorda Menniti Ippolito, ci si accorge che nepotismo non vuole dire per tutti la stessa cosa. Per gli italiani il termine nepotismo è indissolubilmente legato alla corte papale tra medioevo ed età moderna. Per tutti gli altri è un fenomeno che va coniugato al presente e studiato nella varietà di casi che oggi si producono nei vari paesi.
Insomma la ricerca in rete o l’utilizzo di nuovi strumenti non sempre si rivela soddisfacente. Da una parte c’è l’ovvio problema delle specificità locali: la produzione in inglese (o nelle altre lingue a grande diffusione) è diversa da quella in italiano e soprattutto ignora problemi e nodi storiografici che per noi sono fondamentali. Dall’altra, il ricorso alle nuove tecnologie non sempre tiene conto delle loro possibilità e comunque è viziato dai difetti che già avevano gravemente limitato le precedenti esperienze televisive o a stampa.

6. Apocalissi di fine millennio

Nella sua interessantissima raccolta di saggi su Profezia e profeti alla fine del Medioevo (Roma, Viella, 1999), Roberto Rusconi ricorda il Center for Millennial Studies, fondato a Boston da Richard Landes, che si è interessato al problema dello scadere del secondo millennio. Prima del suonare della fatidica mezzanotte questo centro apriva la sua home page (http://www.mille.org) con un “Count Down to the Millennium”. Subito sotto si chiedeva al visitatore se veramente credeva che il mondo sarebbe finito nel 2000 e si commentava, a scanso di equivoci, che quest’ultima era ovviamente una panzana. Si aggiungeva, però, che molti vi avevano creduto e che quindi era necessario studiarla.
Mentre le prime righe scorrevano sullo schermo, accompagnate da pubblicità di conferenze, tavole rotonde, programmi di ricerca e borse di studio, una bottoniera blu attirava l’attenzione verso sinistra. Cliccando sul primo pulsante in altro, si poteva e si può anche adesso che un nuovo millennio è iniziato conoscere lo scopo della nostra home page e del Centro che l’ha messa in piedi. La spiegazione, che rinvia ad un articolo di Landes (On Owls, Roosters, and Apocalyptic Time: A Historical Method for Reading a Refractory Documentation, “Union Seminary Quarterly Review”, 49, 1-2, 1996) ricorda che pochi fenomeni religiosi hanno un aspetto così paradossale come quelli legati ad aspettative millenaristiche: essi infatti spingono migliaia e persino milioni di persone a credere in un’imminente, radicale trasformazione del mondo e tutto ciò nonostante che ogni analoga speranza si sia sempre rivelata fallace. Essi inoltre possono ispirare allo stesso tempo una pacifica attesa di un futuro migliore o una violenta e paranoica attività per portare a tale svolta. Il millenarismo non è quindi un aspetto trascurabile della nostra storia e deve essere preso sul serio, anche se le sue premesse sembrano illogiche.
Il Center for Millennial Studies si propone dunque di studiare il millenarismo passato e presente e a tal scopo vuole: 1) schedare la letteratura apocalittica legata all’anno mille; 2) pubblicarne la documentazione relativa; 3) inquadrare i movimenti millenaristici degli ultimi mille anni, con particolare attenzione per quelli del nostro secolo. In questo modo non soltanto noi conosceremo meglio il nostro passato e il nostro presente, ma lasceremo anche un importante archivio per coloro che nel futuro vorranno studiare l’attesa dell’anno 2000.
Lo spettro della ricerca su questa fine di millennio è molto vasto e presenta non soltanto innocue credenze, quali quelle dei gruppi New Age, ma anche le più pericolose e contorte vicende del fondamentalismo iraniano (Landes e i suoi collaboratori sottolineano sempre che il millenarismo non è un fenomeno meramente occidentale o comunque cristiano, ma pervade anche altri mondi e altre religioni) oppure quelle della setta davidiana asseragliatasi a Waco nel Texas, dove è stata decimata dall’FBI.
Tornando a cliccare sulla bottoniera blu ci imbattiamo in una sezione di domande e risposte, che espone sinteticamente e divulgativamente quanto sinora enunciato e vi aggiunge questioncelle di non poco interesse. Meriterebbe per esempio una più lunga attenzione il seguente scambio: “Perché il millenarismo è una questione scottante? Perché la cultura occidentale è particolarmente interessata – si potrebbe persino dire ossessionata – dal tempo che passa ....”. Ma saltiamo questo catechismo all’americana e passiamo al dossier dedicato alla pretesa apocalissi dell’anno mille. Vi sono schedati tutti i richiami a questa negli anni immediatamente precedenti o successivi : per esempio, il cartulario di Saint-Jouin-de Marnes annota nel 964 d.C. che “mentre il secolo trascorre, la fine del mondo si avvicina”; i testi posteriori al mille segnalano invece quante iniziative furono prese in quell’anno per segnalarne l’eccezionalità.
Seguono, partendo sempre dalla nostra bottoniera, un glossario per lo studio dei movimenti millenaristi e un’eccezionale schedatura di siti millenaristici: politici, religiosi (soltanto i cattolici americani ne hanno ben otto, di cui uno su Fatima, quelli protestanti sono infiniti, ancora di più i gruppi New Age; non mancano home pages indù, mussulmane ed ebraiche), accademici o semplicemente di maniaci apocalittici. Per facilitare l’analisi di questo ricco materiale il Centro presenta la propria rivista, “Journal of Millennial Studies”, ed elenca tutti gli articoli pubblicati dai suoi collaboratori, nonché le comunicazioni già presentate a convegni sul millenarismo. In effetti i ricercatori associati al Centro di Boston sono attivissimi. La rivista, giunta al suo secondo numero, spazia dal millenarismo del Cinquecento alle prospettive millenaristiche della teologia per gli schiavi portati in America e agli aspetti libidinali delle aspettative apocalittiche del giorno d’oggi, senza trascurare le profezie medievali. I convegni sono a loro volta numerosi, come si vede anche dalla sezione sui Progetti del centro: sono già stati realizzati The Apocalyptic Year 1000: History and Historiography (1996), Knowing the Time, Knowing of a Time (1998) e Peace Movements, Revivalism, and Social Transformation (2000); si prospettanoe Disappointed Millennialism and Cultural Mutations (2002) e Millennialism and Power (2004). Il Centro propone inoltre di iniziare ricerche sulla forza della retorica apocalittica e sulle origini bibliche della cultura democratica.
In una ulteriore sezione è raccolta una notevole bibliografia che scheda gli studi su: 1) il millenarismo dell’anno mille; 2) la tradizione apocalittica fondata sulla Bibbia; 3) la destra religiosa (soprattutto americana) oggi; 4) le teorie del complotto (molta attenzione è data ai fenomeni antisemitici legati a queste forme: a partire dal famoso falso che portò alla pubblicazione dei cosiddetti Protocolli degli anziani di Sion); 5) letteratura e cinema a sfondo apocalittico; 6) le venature millenaristiche nei movimenti anticoloniali; 7) le venature millenaristiche nel sionismo; 8) le sette e fenomeni come quello, già menzionato, dei davidiani. Un piccolo settore bibliografico esplora anche movimenti e personaggi più o meno dubbi che hanno utilizzato le altrui aspettative a scopi truffaldini. Il nostro sito accompagna infine quanto già presentato con una sezione di informazioni generali e una che elenca nastri e trascrizioni (di interviste, documentari, ecc.) già in possesso del centro.

7. Nuove prospettive sul medioevo

Una serie di volumi pubblicati dalla casa editrice Viella propone di riaffrontare le fonti medievali per trarne nuovi dati, quando queste fossero già state utilizzate, o per ampliare le nostre informazioni, quando quelle carte siano rimaste ignorate.
Chris Wickham (Legge, pratiche e conflitti. Tribunali e risoluzione delle dispute nella Toscana del XII secolo, a cura di Antonio C. Sennis, Roma 2000) procede alla classificazione dei processi e degli arbitrati nei territori di Firenze, Lucca e Pisa. Grazie alla costituzione di un notevole corpus documentario l'autore mette a fuoco la dialettica tra le pratiche locali (che in alcuni casi si rifacevano a una legge scritta locale) e i principi del diritto romano e di quello canonico, che i giudici cercavano di razionalizzare e i contendenti di sfruttare. Inoltre enuclea una serie di narrazioni giudiziarie, che fanno risaltare l'andamento dei processi sociali, ratificati o contrastati in tribunale, e la coscienza che gli attori sociali avevano di quanto stava accadendo.
Barbara Frale (L'ultima battaglia dei Templari. Dal codice ombra d'obbedienza militare alla costruzione del processo per eresia, 2001: primo di tre volumi che l'autrice dedica all'Ordine del Tempio) rilegge tutte le carte, pubblicate o inedite, sul processo che Filippo il Bello intentò contro i templari. Da queste testimonianze trae un enorme database che le permette di seguire il modo in cui fu costruita l'accusa e quello in cui fu condotto il processo, nonché d'identificare le strategie difensive degli accusati e i tentativi d'intervento del pontefice.
Operando egualmente sull'edito e sull'inedito, Marco Vendittelli ("In partibus Angliae". Cittadini romani alla corte inglese nel Duecento: la vicenda di Pietro Saraceno, 2001) prosegue la sua ricerca sulla dinamicità della società romana duecentesca. In questo caso mostra come il mondo mercantile romano non fosse da meno di quello fiorentino nel creare una rete di interessi economici, che univano, anche fisicamente, il papato, l'impero e i regni del continente.
I tre contributi segnalano come solo il confronto con la documentazione possa favorire una più approfondita riflessione sul nostro passato; in particolare, Wickham e Frale esplicitano che sulle carte da loro studiate bisogna erigere un'interpretazione più coerentemente antropologica. Di certo il loro sforzo non demolisce tanto l'immagine di un medioevo buio, mito negativo ormai sfatato da decenni, quanto piuttosto la nostra idea di aver raggiunto la piena conoscenza degli avvenimenti e delle tendenze della storia europea.
Nella stessa scia Ezio Ornato (Apologia dell'apogeo. Divagazioni sulla storia del libro nel tardo medioevo, 2000) suggerisce di non concentrare la nostra attenzione sulla portata rivoluzionaria della sola introduzione della stampa e di ricordarsi invece che altre rivoluzioni hanno preceduto Gutenberg. Agli inizi del Duecento l'attività scrittoria si sposta, per esempio, nelle città e vede una completa e innovativa riorganizzazione della produzione e della trasmissione del sapere, nonché una diversificazione progressiva del tessuto culturale. Nascono nuove figure intellettuali e nasce un mercato librario, che lentamente, ma inesorabilmente, spinge per una disponibilità sempre maggiore di libri per un livellamento dei prezzi. È questo mercato che impone alla lunga l'adozione della carta, inizialmente disprezzata, e pone le premesse favorevoli al successo della stampa.
Abbiamo insomma un medioevo ancora più dinamico di quanto ci potessimo aspettare, ma anche una comunità storiografica assai più attiva di quanto si potrebbe sospettare. E questa dinamicità si esplicita anche nel gran numero di iniziative digitali. Frale annota che i suoi risultati sono anche il frutto di quattro anni di paziente elaborazione di un database. Altri sono andati ancora più lontani. Abbimao già menzionato Reti Medievali: iniziative on line per gli studi medievistici (http://www.retimedievali.it), che ha coalizzato attorno all'Università di Firenze un discreto numero di atenei e sfrutta questa massiccia adesione per elaborare una newsletter e una rivista telematiche.
La rivista in particolare è un luogo non solo di ricerca, ma anche di sperimentazione, come ricorda Andrea Zorzi nella sua presentazione on line. Non mette infatti a disposizione articoli in senso classico, ma materiali di ricerca, edizioni di fonti, dibattiti telematici, recensioni, schedature e persino tre ipertesti, tecnicamente assai interessanti. Attorno alla rivista è stata poi organizzata una biblioteca digitale, che raccoglie testi ed articoli e che si sta lanciando nella produzione di e-book (ne è uscito il primo: Renato Bordone, Uno stato d'animo. Memoria del tempo e comportamenti urbani nel mondo comunale italiano), un calendario che scheda oltre mille convegni per gli anni 1999-2001, una sezione didattica che sforna schemi di corsi e antologie di fonti grazie alla spinta impressagli da Stefano Gasparri.
Il gruppo dirigente è assai avvertito e il già citato Zorzi è da tempo uno dei più scaltriti navigatori del Web medievale, cui quasi ogni anno dedica una sorta di guida (si veda, a stampa, Millennio digitale. I medievisti e l'Internet alle soglie del 2000, "Memoria e ricerca", nuova serie, 5, gennaio-giugno 2000, pp. 199-212). Il gruppo ha inoltre organizzato il grande incontro Medium-evo. Gli studi medievali e il mutamento digitale (Università degli Studi di Firenze, Aula magna di Palazzo Fenzi, 21-22 giugno 2001), cui hanno partecipato molti medievisti e paleografi.
Ovviamente in queste occasioni l'accento è posto sulle questioni soprattutto accademiche, ma il continuo successo delle tematiche medievali (si pensi alle vendite del Baudolino di Umberto Eco) sospinge una domanda anche di livello diverso. Per il pubblico dei semplici appassionati è quindi sorto il sito http://www.medioevoitaliano.org (gemello del più generalistico e confusionario http://www.storiaonline.org), che offre la versione digitale di alcune grandi opere (Divina Commedia, Decamerone, ecc.) e una serie di rubriche organizzate da non specialisti. Il sito abbonda di newsletter, che informano sulle novità on-line, nonché su specifici settori di studio, e offre pure la possibilità di chattare con altri amanti dell'età di mezzo. Il livello è abbastanza basso, ma una discreta messe di link suggerisce anche dove cercare maggiore informazione.
Un aspetto che curiosamente accomuna un sito scientifico, come quello di Reti Medievali e uno più andante come Medioevoitaliano, è il loro tener comunque presente che chi si interessa al medioevo in linea non è per forza un freak digitale e spesso ha piacere a tornare alla vecchia carta stampata. Entrambi quindi offrono i loro file in formato pdf, che ne favorisce la stampa. Quindi, per esempio, gli e-book di Reti Medievali sono stampabili, al contrario di quelli costruiti soltanto per essere letti sullo schermo. Il che contraddice parte delle teorie su cosa sia un e-book (si vedano i materiali della giornata di studio Quali e-book per la didattica e la ricerca?, Viterbo, Università degli Studi della Tuscia, 8 maggio 2001, disponibili su www.unitus.it/ebook), ma rende per il momento un servizio gradito dallo studioso.

Parte II

Umanesimo, antico regime ed età moderna

Nei manuali universitari si è progressivamente alterata l'antica divisione tra antichità, medioevo, età moderna ed età contemporanea, come dimostra la scansione dei quattro volumi di Adriano Prosperi e Paolo Viola, Storia moderna e contemporanea (Torino, Einaudi, 2000): I. Dalla Peste Nera alla guerra dei Trent'anni; II. Dalla Rivoluzione inglese alla Rivoluzione francese; III. L'Ottocento; IV. Il Novecento. Naturalmente non tutti gli autori hanno acceduto a queste ipotesi di periodizzazione, ma anche chi ha proseguito a mantenere cesure più tradizionali ha mostrato di aver ben presente la necessità d'inquadrare l'età moderna in un mondo meno canonico di quanto era possibile soltanto qualche anno fa. Si vedano al proposito due bei libri quali Cesarina Casanova, L'Italia moderna. Temi ed orientamenti storiografici (Roma, Carocci, 2001) e Augusto Placanica, L'età moderna. Alle radici del presente: persistenze e mutamenti (Milano, Bruno Mondadori, 2001). In ogni caso nella pratica scientifica si è infatti progressivamente accettato che i secoli operanti da cerniera tra gli evi della periodizzazione canonica devono godere di maggiore importanza.
Tra l'antichità e il medioevo ha acquisito una maggiore autonomia la fase che ingloba il cosiddetto tardo-antico e l'altomedioevo. In pratica si riconosce una peculiare indipendenza a un periodo di transizione che non è più antichità classica, ma non è ancora il medioevo come tutti lo intendono. All'altro capo dell'età di mezzo si è invece accentuato il distacco del Tre-Quattrocento dal corpo centrale del medioevo vero e proprio. Questi due secoli sono già da tempo considerati assieme al primo Cinquecento come un periodo a sé stante, grosso modo corrispondente all'età dell'umanesimo enucleata da molti studi ormai classici. Tuttavia sin dall'Ottocento lo studioso ed uomo politico Alexis de Tocqueville ha ipotizzato l'esistenza di un "antico regime", una fase della storia che non era più medievale, ma che precedeva l'ingresso violento nella modernità provocato dalla Rivoluzione francese. Non sono molti gli storici che oggi sottoscrivono intieramente la tesi di Tocqueville, comunque tanti pensano che la cosiddetta età moderna deve essere allargata ad accogliere Tre e Quattrocento, una volta considerati medievali, e quindi ripartita in un paio di fasi, concatenate ma distinte. Bisogna infatti considerare che, se da un lato l'età moderna si amplia a scapito del medioevo, dall'altro eredita il secolo tra la Restaurazione post-1815 e la prima guerra mondiale. Questa infatti è divenuta con la fine dello scorso millennio la data d'inizio della storia contemporanea, anche sulla scia del successo di un fortunato libro di Eric J. Hobsbawm (Il secolo breve, 1994; tr. it. Milano, Rizzoli, 1995). Con questi progressivi spostamenti dei confini cronologici l'età moderna è diventata una sorta di vera e propria età di mezzo tra il medioevo propriamente detto e l'età contemporanea e al contempo si è allungata a dismisura. Di conseguenza è divenuto necessario, come già anticipato, dividerla in due fasi. Una prima possibilità è quella di separare un antico regime, corrispondente ai secoli XIV-XVIII, da un'età delle rivoluzioni che inizia con quella americana (1775) e si chiude con la grande guerra e la Rivoluzione russa (1917). Un'altra è quella di separare un'"early modern history" (secoli XIV-XVII) da una storia moderna propriamente detta che a partire dal secondo Seicento vede rafforzarsi la centralizzazione dello Stato. In questa seconda ipotesi è anche possibile sottolineare il ruolo autonomo dell'Ottocento, attribuendogli un manuale autonomo: è il caso della già citata opera di Prosperi e Viola, ma hanno fatto altrettanto anche Tommaso Detti e Giovanni Gozzini (Storia contemporanea, I, L'Ottocento, Milano, Bruno Mondadori, 20002).
Questi riassestamenti delle periodizzazioni non sono chiaramente visibili sul Web, dove la scansione temporale dei manuali è raramente discussa, tuttavia risaltano dagli accostamenti dei vari siti e mostrano come la storia moderna, pur nella sua subalternità alla storia medievale e a quella contemporanea stia cercando di costruirsi un proprio percorso.

1. Da Giovanna d’Arco a Luigi XIV

Secondo Emmanuel Le Roy Ladurie la morte di Carlo VII nel 1461 chiude la crisi della guerra dei Cento Anni e apre il periodo postmedievale e precontemporaneo della storia francese. Questo a sua volta sarà chiuso dalla morte di Luigi XV nel 1774. Inizierà allora quella lunghissima rivoluzione francese destinata infine a terminare il proprio ciclo storico verso il 1880. Lo lo storico francese espone le sue tesi in L’Etat royal (1987) e altri volumi puntualmente tradotti dal Mulino (Lo Stato del re. La Francia dal 1460 al 1610, 1999; si vedano anche i precedenti due volumi dedicati a L'ancien régime) e dichiara che l’unità del periodo 1461-1774 è assicurata dall’istituzione monarchica. In quei tre secoli si afferma infatti quella che è la “monarchia classica” per ogni studioso della Francia e si realizza il sogno di Giovanna d’Arco di vedere il proprio paese unito sotto un solo re.
Le Roy Ladurie distilla decenni, se non secoli, di studi sulla Francia e si rivolge a un pubblico quantomeno di studenti post-laurea. Ma se qualcuno naviga nel Web alla ricerca degli eroi di quella monarchia “classica” può trovare studi altrettanto seri? In effetti si, ma una veloce scorribanda mi ha convinto che è meglio parlare dei siti “non seri”, perché assai più significativi nel perimetrare la cultura odierna. Vi propongo quindi di seguirmi in due percorsi: il primo alla ricerca di Giovanna d’Arco, il secondo alle calcagna di Luigi XIV.
I vari motori di ricerca indicano mediamente oltre 13.000 pagine su “Jeanne d’Arc”. Altavista in particolare consiglia alcune ricerche specifiche: “Santa Giovanna d’Arco”, “La passione di Giovanna d’Arco”, “La Giovanna d’Arco di Besson”, “Chi è Giovanna d’Arco” e il “Grand Hotel Giovanna d’Arco”. Quest’ultima è naturalmente una falsa pista, per quello che ci riguarda, ma ci ricorda che il nome di tutti i personaggi celebri rimanda a una miriade di alberghi, ristoranti e monumenti: in fondo è comunque un segno della loro fortuna e in alcuni casi la dislocazione di esercizi e statue permette di identificare un'area precisa (provate, per esempio, a digitare "Pocahontas"). Infine si possono comprare i libri sulla Pulzella entrando in Amazon.com o barnesandnoble.com, oppure i cd (Jeanne d’Arc au bûcher di Arthur Honegger) su musicabona.com, oppure vedere la presentazione di The Messenger (Giovanna d’Arco, 1999) di Luc Besson a http://www.jeannedarc.com, dove, oltre al materiale pubblicitario, si trovano sezioni sulla storia, sul mito e qualche link.
Se pensate di restringere il campo a “Giovanna d’Arco e la storia”, vi accorgerete subito che avete sbagliato. La scelta resta comunque troppo ampia. Imperterriti decidete di continuare la ricerca su due filoni principali: la Francia e gli studi universitari negli USA. Nel primo caso v’imbattete nel museo più kitsch d’Europa: il Musée Jeanne d’Arc di Rouen. La biografia della santa è intitolata: “sa vie, son épopée” (il che vi indica già il taglio). Segue poi un distratto quadro storico, immediatamente soverchiato da orari di visita, come acquistare i biglietti, itinerari pedagogici (cioè visite per le scuole), acquisto cataloghi. Vi sono anche dei link: se volete sapere tutto su Giovanna, ma in inglese avete la scelta tra http://www.stjoan-center.com e http://www.newtsrq.com; se invece volete notizie, più serie, su Giovanna a Domremy, Chinon, Orléans e Bonsecours potete digitare http://www.jeanne-darc.org, o http://web.univ-orleans.fr/ENVIRONS /Jeanne-d-Arc/ e http://www.mairie-bonsecours.fr/jeanne_arc/. Ad http//web.fdn.fr/~rebours/jdarc trovate infine altri materiali sulla genesi del mito della Pulzella.
Noi, però, non vogliamo niente di così serio. Passiamo quindi all’America e tramite http://about.com andiamo a scovare qualche pista. Womenhistory.about.com parte dalla versione originale inglese del film di Besson e dalla miniserie della CBS (Joan of Arc). Il sito di quest’ultima (http://marketing.cbs.com) è molto carino e potete pure comprarvi il video di 4 ore. La pubblicità vi spiega che quest’ultimo “esplora le relazioni” di Giovanna con la famiglia, gli amici, il re e Dio: insomma una sorta di Melrose Place con qualche personaggio appena più ingombrante. Comunque vi sono pagine sulla storia (cronologia e mappe interattive sulla guerra dei Cento anni; biografie dei personaggi; riproduzioni tridimensionali delle armi), sulla preparazione della miniserie (lo stesso regista illustra come ha organizzato le scene di battaglia) e su film e musiche legate al tema di Giovanna d’Arco.
Se torniamo ad about.com troviamo anche il suggerimento per visitare il sito ufficioso della Sony con pettegolezzi su Besson, ma questo è troppo pure per noi, e due ulteriori indirizzi: uno di link e l’altro d’immagini. Il secondo offre un’illustrazione ottocentesca e uno sproloquietto sull’iconografia della Pulzella, il primo vi garantisce l’accesso ad alcune bibliografie (purtroppo sono solo testi americani) e ai film su di lei. Inoltre potete passare a studi in rete su Giovanni (non sono un granché, ma uno riporta che la pagina ufficiale degli omosessuali e delle lesbiche in rete ha specificato che la Pulzella non era una di loro), al video della canzone “Joan of Arc” di Leonard Cohen, alla ricostruzione sul campus dell’Università di Marquette, Wisconsin, della cappella nella quale pregava la santa. Si può anche saltare ad un buon sito sul romanzo di Mark Twain Personal Recollections of Joan of Arc, nonché a un archivio d’immagini e a varie sezioni di storia delle donne (Women of the Middle Ages; Women Writers of the Middle Ages).
Qui ritorniamo, però, sul terreno della serietà e noi quindi abbandoniamo Giovanna per trovare qualcosa su Luigi XIV. Questi ha diritto a poco più di 7.500 pagine soltanto; però, ha ben 50 negozi in rete che vendono oggetti nel suo stile: se volete un armadio Luigi XIV digitate http://www.heliantis.fr. Inoltre la prima pagina suggerita da Altavista è quella di Objectif Ameublement (http://www.objectif.net), uno dei migliori siti francesi per arredatori d’interni. In effetti il Re Sole sconta i suoi legami con le arti maggiori e minori, anche se alcuni indirizzi sono in effetti di storia dell’arte (http://montres.fc-net.fr) oppure sono legati a specifici monumenti e alla bibliografia relativa (sui castelli e Versailles: http://www.bibl.ulaval.ca) o vogliono valutare come Luigi abbia praticato una politica dell’immagine per rafforzare il proprio potere e il proprio carisma (http://www.unl.edu/louisxiv). Non mancano le pagine cinematografiche, come quella americana dedicata alla Presa del potere di Luigi XIV di Roberto Rossellini (http://www.mthholyoke.edu/), o quelle su singoli avvenimenti: per esempio l’annessione delle Fiandre (http://www2.univ-lille2.fr/) o la presa di Namur (http://www.ciger.be/namur/musées/).
Di fatto la ricerca su Luigi XIV rivela una predominanza commerciale, che, però, ha spesso una componente didattica. Persino le esposizioni di mobili e di oggetti offrono schede sull’arte del periodo e in certi casi studiano la produzione di artisti specifici, in particolare ebanisti o gioiellieri. Inoltre vi portano all’acquisto di altri materiali didattici, come il cd-rom Claude Villers raconte Lois XIV & Versailles (http://www.bibl.laval.ca/doelec/multimedia/Louis_ariane.html).
Alla fine possiamo concludere che la povera Giovanna d’Arco, che tanto fece per la Corona di Francia, è quella servita tradizionalmente peggio. Allora l’hanno mandata al rogo e ora la fanno campeggiare in troppi siti kitsch.

2. La Nuova Francia

Partiamo come al solito da un libro: in questo caso dalla Storia del Canada scritta da Luca Codignola e Luigi Bruti Liberati (Milano, Bompiani, 1999). E’ un volume che riempie un vuoto, perché non esisteva una sintesi italiana sulla storia canadese, e che inoltre propone un approccio nuovo alla storia di un paese americano. Normalmente si presta attenzione soltanto al Novecento, al massimo si rimonta all’Ottocento: così la vicenda coloniale diventa soltanto una breve introduzione. Codignola e Bruti Liberati rovesciano invece questa prassi e dedicano grande spazio al periodo coloniale, terminato in Canada nel 1867 quando alcune colonie sono riunite in unico Dominion, semi-indipendente. Su quasi 730 pagine di testo, ben 446 sono dedicate alle vicende pre-1867 e inoltre più di metà di questa robusta sezione è dedicata alla Nuova Francia, l’insieme delle colonie e degli avamposti francesi nel Nord America e nei Caraibi, in gran parte perduti con la guerra dei Sette Anni (1756-1763).
Proprio la lettura di questa parte del volume suggerisce un’esplorazione in rete, visto che gli autori non hanno evidentemente lavorato sul Web (ma, come vedremo, non hanno perso, né ci hanno fatto perdere molto). La Storia del Canada è molto abile nel rappresentare gli aspetti storici, sociali e antropologici dello sviluppo coloniale francese in America; scartiamo quindi questi aspetti più seriosi e cerchiamo di seguire cosa resta delle imprese degli esploratori e trafficanti di pelli.
Un primo assaggio è offerto dalle pagine locali di molte cittadine americane. La città di Peoria nell’Illinois ha messo in rete una sintesi della propria storia e di quella di tutto l’Illinois centrale (http://pjstar.com/services/peoria/peoriahistory.html). In essa sono riassunte le esplorazioni di Robert Cavalier de La Salle e di Enrico Tonti (Henri Tonti) alla ricerca delle foci del Mississippi e si ricorda come i due esploratori si fermarono presso il lago Pimetoui (oggi Fat Lake) su consiglio degli indiani Peoria. In seguito vi costruirono un forte, poi abbandonato, ma Tonti, una volta morto La Salle, vi tornò per edificare un secondo forte, che divenne una base per i traffici di pelli. Anche questo nuovo avamposto fu infine definitivamente lasciato, ma, nell’Ottocento, l’esercito statunitense rioccupò e fortificò quella località per sostenere l’avanzata della frontiera americana.
In sé le notizie offerte dalla città di Peoria non sono particolarmente interessanti, anzi spesso sono inficiate da errori di date e di nomi, tuttavia esemplificano la tendenza a creare piccole storie in rete di ogni centro americano. Così ancora La Salle e Tonti sono ricordati dall’Arkansas Post Home Page (http://www.nps.gov/arpo/), nonché da un dibattito sul luogo preciso dove era situato lo stesso avamposto (http://www.swl.usace.army.mil/pao/post.html) e sui rapporti che Tonti intrattenne con gli indiani dell’Arkansas (http://sos.state.ar.us/text/facts.html) e con quelli dell’Alabama (http://www2.una.edu/history/rbr361web.htm). Nessuna di queste pagine aggiunge niente di nuovo a quanto sappiamo, ciascuna mostra, però, l’importanza dell’uso pubblico della storia negli Stati Uniti e il fatto che tale uso si stia di fatto trasferendo in rete.
Per seguire le discese degli esploratori francesi lungo il Mississippi, oppure i loro tentativi di penetrare il Grande Nord o di varcare le Grandi Praterie esiste uno strumento canadese, molto più raffinato: Early Canadian online (http://www.canadiana.org). Si tratta di un servizio bibliografico, accessibile 24 ore su 24, che cataloga e riproduce in formato elettronico quasi tutte le opere relative all’esplorazione del Canada prima del 1867. Così se cercate “Mississippi”, il sistema vi segnala di avere in deposito sette volumi, tra i quali Voyage et découverte de quelques pays et nations de l’Amérique septentrionale (Paris 1681) e le opere sulla Louisiana del padre Louis Hennepin, pubblicate tra il 1683 e il 1698. E’ inoltre disponibile il facsimile ottocentesco della Relation de la Mission du Missisipi du Seminaire de Québec en 1700 (New York 1861). Di tutte queste opere si può scaricare il testo a stampa originale, anche se il processo è un po’ lungo.
Sempre in ambito canadese un altro strumento di grande utilità, almeno in prospettiva, è offerto dagli Archivi Nazionali. Digitando http://www.archives.ca si ottiene accesso ad ArchiviaNet un programma di catalogazione di tutta la documentazione. Per ora in realtà non tutto è accessibile. Si può vedere la descrizione generale dei fondi e delle collezioni, ma non l’inventario generale dei documenti federali. Si può dare una scorsa al programma di aiuto allo studio delle singole collezioni e ad avere accesso alle pagine sulla prima guerra mondiale, sulle concessioni governative di terre, sul censimento dell’Ontario nel 1871, sugli uffici postali, ma non ai files sull’immigrazione o alla sezione coloniale. Sono inoltre a buon punto la sezione audiovisiva (film, video e registrazioni sonore; fotografie; caricature e altre opere artistiche) e una guida tematica per lo studio delle popolazioni autoctone. Quest’ultima offre una sintesi storica e inventari di materiali su bande, tribù, trattati, agenzie coloniali e federali, proprietà autoctone, popolazioni meticce. In questo ambito si hanno a disposizione anche testimonianze pre-1867: in particolare si accede ad alcuni inventari di documenti relativi all’amministrazione francese.

3. Roma pontificia

Il 2000 si è chiuso con un girandola di libri sulla storia di Roma antica, medievale, moderna e contemporanea. Alcune sono mega-imprese: la laterziana Storia di Roma; l'einaudiana Storia di Roma; la treccaniana Enciclopedia dei Papi in tre volumi, ideata e coordinata da Antonio Menniti Ippolito; infine Roma città del papa diretta da Adriano Prosperi e Luigi Fiorani, XVI volume degli Annali della Storia d'Italia Einaudi. Accanto a queste sintesi, che comunque non difettano di aperture e ricerche originali, vi è poi la saggistica di minor mole, ma in genere più innovativa. In essa un settore emergente studia la Roma del XVIII secolo, un periodo in genere trascurato perché ormai la capitale pontificia papale era solo una città d'arte e di turismo, che poco contava a livello economico e politico. Su questo periodo si sono concentrati l'analisi socio-economica di Maura Piccialuti (L'immortalità dei beni. Fedecommessi e primogeniture a Roma nei secoli XVII e XVIII, Viella), l'approccio socio-culturale di Maria Pia Donato (Accademie romane. Una storia sociale (1671-1824), Edizioni Scientifiche Italiane) e Fabio Tarzia (Libri e rivoluzioni. Figure e mentalità nella Roma di fine ancien régime (1770-1800), Franco Angeli) e quello religioso istituzionale di Stefania Nanni (Roma nel Settecento. Poteri, spazi, rappresentazioni, Carocci).
Maura Piccialuti studia l'evoluzione economica e culturale dell'aristocrazia e del patriziato ricostruendo la dinamica delle eredità: in particolare evidenzia come i fedecommessi servissero a passare di padre in figlio primogenito i beni mantenendoli indivisi e inalienabili e di conseguenza irrobustissero il patrimonio familiare e il senso dinastico. Maria Pia Donato scheda i personaggi che appartennero alle accademie romane e i vari usi sociali, politici e culturali cui queste ultime furono piegate. Fabio Tarzia perimetra il mercato librario della Roma di fine Settecento e studia il formarsi di un'opinione pubblica in quella città. Tutti e tre dimostrano che la città era comunque in moto e che non si può descriverla come una realtà stagnante. Stefania Nanni affronta l'evolversi dell'identità e dell'autorappresentazione romane nel Settecento e mostra come la città riveli in quel periodo un travagliato tentativo di autoriforma religiosa e istituzionale.
La lettura dei volumi appena citati invitava naturalmente a cercare in rete qualcosa sulla storia della città di Roma. Di primo acchito l'offerta non è malvagia: Altavista segnala 1.906 pagine in inglese e 194 in italiano. Il problema è che la maggior parte dei siti inglesi riguardano Roma antica: moltissimi sono schemi di corsi universitari e molti sono legati a ricerche archeologiche. Per districarsi tra queste, ma anche tra gli studi di filologia e letteratura classica, l'Hamilton College mette a disposizione "Ancient Rome History Resources" (http://public-affairs.levitt.hamilton.edu). La pagina è quadripartita e consente: 1) l'accesso alle risorse della Library of Congress per la letteratura greca e Roma; 2) l'accesso ai maggiori siti di storia antica; 3) l'ingresso a ROMARCH, sull'archeologia e l'architettura dell'antica Roma; 4) una "visita" al palazzo di Diocleziano a Spalato. Se uno poi vuole vedere cosa sa la maggioranza degli americani, può sbirciare il sito di "The Age of Empires" della Microsoft, un gioco a sfondo storico il cui primo set s'intitola The Rise of Rome. Oppure può consultare "Ancient Sites", che cataloga film e romanzi a sfondo storico.
Gli indirizzi italiani sono meno numerosi e quasi del tutto monopolizzati dalle indicazioni sui corsi universitari. Soprattutto c'è una sola pagina su Roma nel Settecento e una su Roma nel primo Ottocento e in entrambi i casi si tratta degli indici di riviste. In compenso si può, però, ripiegare sugli indirizzi vaticani. Digitando http://www.vatican.va/library_archives/index.it.htm arrivate a un blocco di pagine ancora in costruzione. La prima schermata vi chiede se volete informarvi sull'Archivio Segreto Vaticano o sulla Biblioteca Apostolica Vaticana. Se andate a vedere l'Archivio, potete consultare la lista delle collezioni e quella dei documenti, nonché avere una mappa dei locali e un'indicazione di visita (queste ultime due sono offerte anche dalla Biblioteca).
La lista dei documenti vi offre un profilo dell'archivio e il suo regolamento, in francese, inglese, italiano, latino, portoghese, spagnolo e tedesco. Inoltre avrete informazioni sulla Scuola Vaticana di paleografia, diplomatica e archivistica (personale, corsi, iscrizione, pubblicazioni), sul servizio di fotoriproduzione dell'archivio e potrete scaricare un file compresso di circa 20 Kb con la descrizione di tutti i fondi dell'archivio. Infine accederete alla sezione "Storia dell'Archivio Segreto Vaticano", che costituisce un vero e proprio volume sull'evoluzione degli archivi vaticani. L'opera è illustrata da numerose immagini e divisa in sei capitoli: dalle origini al VI secolo; da Gregorio Magno a Celestino III (590-1198); da Innocenzo III a Gregorio XII (1198-1415); da Martino V a Gregorio XIII (1417-1585); da Paolo V a Pio IX (1605-1878); da Leone XIII a oggi. Quest'ultima parte spiega l'apertura degli archivi al pubblico, voluta da Leone XIII, e la genesi della sistemazione odierna. Dalla lista delle collezioni è in possibile essere informati su queste e sulle relative pubblicazioni, a stampa (numerosissime) ed elettroniche. Tra queste è da ricordare che l'Archivio ha messo in vendita la riproduzione su cd-rom dei Registri vaticani 1-136 da Giovanni VIII (872-882) a Benedetto IX (1045, 1047-1048): una documentazione di inestimabile valore per studiare l'altomedioevo romano.
Anche la biblioteca ha servizi analoghi, dalla propria storia alla presentazione delle raccolte. Inoltre offre l'accesso all'Unione Romana delle Biblioteche Scientifiche (http://www-urbs.vatlib.it/urbs), il catalogo informatico che raccoglie buona parte dei fondi librari romani e vaticani e permette quindi di localizzare una determinata opera o di avere indicazioni bibliografiche su di essa. La biblioteca ha anche un sito commerciale (http://www.1451.com), dove potete comprare on-line pubblicazioni scientifiche e calendari, riproduzioni e altri gadget ispirati ad antichi ed importanti manoscritti.

4. Miti e rivoluzioni d’antico regime

Nel 1993 Steven L. Kaplan pubblicava presso Fayard Adieu 89, una rigorosa inchiesta storico-etnografica sulla Francia nel bicentenario della Rivoluzione.Era uno splendido libro, che tuttavia l’autore stesso giudicava non esaustivo. Era quindi seguito (come d’altronde era stato anche preceduto) da una nutrita serie di messe a punto. L'intenso flusso di questa produzione non si è arrestato agli anni immediatamente successivi al 1989 e proprio agli inizi del nuovo millennio le edizioni del CNRS (il Consiglio nazionale della ricerca scientifica francese) hanno edito un altro notevole studio: Le bicentenaire de la Révolution française. Pratiques sociales d’une commémoration di Patrick Garcia. In questo ultimo volume l’autore s’interroga sull’esercizio della memoria attraverso le commemorazioni e sulle sue manifestazioni regionali. Al centro dell’analisi sono quindi anche e soprattutto le iniziative locali e non soltanto le grandi manifestazione parigine del 1989. Secondo l’autore le varie espressioni del bicentenario hanno ribadito la duplice richiesta della Francia profonda: richiesta d’incontro sociale, da un lato; richiesta d’identità, dall’altro. Grazie al e nel bicentenario il passato è divenuto rassicurazione del presente e ha contribuito a fondare l’identità odierna della Francia.
Il tema del libro di Garcia è affascinante e in effetti la fortuna e la commemorazione della Rivoluzione francese costituiscono una notevole materia di studio. Per ora tuttavia non è stato esplorato il versante del Web, dove pure il 1789 ha una risonanza vastissima, grazie soprattutto agli agguerriti centri universitari nordamericani.
L’Università di Chicago, per esempio ha offerto a Mark Olsen, uno dei primi storici ad avere approfondito lo sfruttamento del computer, la gestione del grandioso progetto Project for American and French Research on the Treasury of the French Language (http://humanities.uchicago.edu/ARTFL). Soltanto la stampata dell’indice di questa megainiziativa prende due pagine. L’indice generale avverte dell’esistenza di un sito informativo sul progetto stesso: sua storia, istituti collegati alle ricerche, pubblicazioni, lista delle domande rivolte più frequentemente ai database creato. Seguono quindi tre nutrite bibliografie e poi il database generale sul tesoro della lingua francese, cui sono aggiunti non soltanto vari strumenti di ricerca, ma anche due ulteriori database sulla poesia provenzale e sulle scrittrici francesi. Una grossa sezione dell’ARTFL è costituita dal progetto Encyclopédie, iniziato nel 1996, e dovrebbe alla fine permettere di navigare all’interno dell’intera Enciclopedia di Diderot e d’Alambert. Ai lavori gestiti dalla sola Chicago si accompagnano iniziative in collaborazione: la raccolta dei testi in francese medievale e un blocco di materiali sulla Francia dal 1789 al 1848. Questi ultimi comprendono la schedatura e la riproduzione dei pamphlets rivoluzionari; la catalogazione delle opere teatrali date a Parigi durante la Rivoluzione (con una fantastica cronologia giorno per giorno della programmazione nei principali teatri: http://barkov.uchicago.edu/mark/projects/theatre); la raccolta delle immagini della Francia elaborate tra il 1811 e il 1818; la bibliografia dei pamphlets e periodici del 1848. Infine una sezione di link vi permetette di saltare in un numero infinito di siti interessanti: non c’entra la Rivoluzione, ma vale la pena di ricordare che dai testi medievali si può passare a ottime pagine sui manoscritti miniati francesi.
In certi casi i lavori progettati da Olsen (a proposito, si può contattare lo studioso all’indirizzo di posta elettronica: mark@gide.uchicago.edu) rivestono di grande interesse per il lavoro in ambito informatico. Come spiega lui stesso (http://humanities.uchicago.edu/homes/mark/fr_rev.html) la scansione dei pamphlet rivoluzionari (per il momento sono a disposizione: abbé de Cournaud, De la Propriété; Sylvain Maréchal, Dame Nature à la barre de l’Assemblée Nationale; Dufourny de Villiers, Cahiers du quatrième ordre) costituisce anche un esperimento sui parametri ottimali per la distribuzione in rete di testi rari e si collega a un altro progetto, cui collabora Chicago: il "Renaissance Dante in Print (1472-1629)", che al momento raccoglie 450 illustrazioni delle prime edizioni a stampa della Commedia.
Un’altra università assai impegnata sul fronte della Rivoluzione francese è quella di Fordham, New York (www.fordham.edu/halsall/), nell’ambito del notevolissimo Internet History Sourcebooks Project, che raccoglie documentazione attinente alla storia antica, medievale, moderna, nonché alla storia dell’Africa, dell’Asia orientale, dell’India, dei paesi islamici, della cultura ebraica e delle donne. La sezione medievale del Sourcebook riproduce documenti sulla Francia prerivoluzionaria, mentre le pagine specifiche sulla Rivoluzione riproduce per esteso o in forma abbreviata (è il caso dei Cahiers de doléances) le fonti principali dal 1789 al 1795. Il sito di Fordham scheda anche (o rinvia ad altri indirizzi per i testi) l’eco della Rivoluzione, permettendo di leggere in linea gli scritti di Olympe de Gouges sui diritti delle donne, di Edmund Burke sugli avvenimenti francesi e di Thomas Paine sui diritti dell’uomo. Fordham dedica infine molta attenzione al periodo napoleonico: tre importanti sezioni del Sourcebook comprendono rispettivamente un’enorme biblioteca virtuale su Napoleone, una sintesi del periodo illustrata da numerosi documenti e informazioni sulla Marina inglese durante lo scontro (link appositi permettono di giungere ad http://anglia.co.uk, dove si possono leggere le lettere dell’ammiraglio Nelson e a http://wtj.com dove sono schedate le lettere e i dispacci dello stesso).
Vi risparmio gli altri siti visitati, alcuni dei quali di non piccolo interesse, per concludere che in questo, come in molti altri casi, la rete universitaria americana si distingue per la capacità di offrire strumenti didattici assai efficienti. Una controprova di questa superiorità americana nel campo della storia moderna l’ho avuta per una circostanza concomitante e casuale. Proprio mentre stavo visitando per la prima olta i siti americani sulla Rivoluzione francese, mi è arrivato un altro libro d’inizio millennio, La Repubblica inquieta. Venezia nel Seicento tra Italia ed Europa di Stefano Andretta (Carocci Editore), un’interessante raccolta di saggi sull’interazione tra la tradizione politica veneziana e alcune grandi questioni del Seicento (la guerra dei trent’anni, la Fronda, la lotta contro i Turchi, la decadenza del Papato). La lettura del volume mi ha fatto venire voglia di un rapido controllo sulla rete e, dopo aver riscontrato la povertà dell’offerta italiana (tuttavia l’offerta museale, soprattutto del Correr e di Ca’ Rezzonico non è male), mi sono imbattuto nelle pagine statunitensi di http://www.friendsofvenice.org, un’associazione che vuole diffondere la conoscenza della storia e della ricchezza veneziane. Il sito, organizzato in modo da essere navigabile con grande facilità, è suddiviso in otto sezioni. Le prime due ricostruiscono la storia dell’associazione, i suoi membri, i suoi comitati. Seguono quindi la storia dei pericoli che oggi corre Venezia (ma questa parte è ancora in costruzione), la Newsletter " Venice in Peril ", una sezione di link (utilissima), i libri su aspetti della storia della Serenissima, le ordinazioni librarie e infine un’antologia di testi sulla città. Da notare che la scelta bibliografica e antologizzatrice è di gran classe ed include opere recenti di grandi studiosi come Patricia Fortini Brown, Robert C. Davis, Ennio Concina, soltanto per citare tre all’inizio di una lista che comprende oltre 100 autori, e grandi classici dell’Otto-Novecento, da Berenson e Burckhardt in poi.

5. Tra Sette e Ottocento

Per una volta esuliamo dalla mera ricerca storica e dirigiamoci verso uno dei crocevia che arricchiscono la nostra percezione del passato. Antonio Pinelli ha pubblicato un fondamentale lavoro: Nel segno di Giano. Passato e futuro nell'arte europea tra Sette e Ottocento (Roma, Carocci, 2000). In esso spazia per l'Occidente europeo ed americano, registrando le trasformazioni del gusto e soprattutto i recuperi del passato. Il neoclassico appunto, ma anche il Gothic Revival e la più generale riscoperta ottocentesca del medioevo, per non parlare dei revival minori che hanno ispirato l'estrema evoluzione dell'antico regime dalla Rivoluzione francese alla prima guerra mondiale.
Questo è un settore particolarmente ricco per chi si voglia mettere in caccia sulla rete. Bisogna, però, prescindere dagli indirizzi italiani: da noi infatti se si digita "revival" si trovano discoteche in stile anni sessanta, balere romagnole di liscio, club di appassionati di vecchie macchine. Sempre meglio comunque che in Spagna, dove "revival" ti spedisce alla pubblicità di una linea di bidet.
Se ci si rivolge a un motore di ricerca americano, si scopre che oltre a infiniti revival (ma attenzione, molti riguardano fenomeni religiosi passati e presenti), si trovano anche quasi 6000 pagine in media sul neoclassicismo. Un buon indirizzo propedeutico è quello dell'Enciclopedia Encarta online (http://encarta.msn.com): vi è infatti una buona voce sul neoclassicismo - con appositi richiami a romanticismo, Pompei, Ercolano, agli stili Luigi XIV, Luigi XVI e Impero, a singoli artisti e teorici - e una piccola scheda sul revival greco, definito caratteristico dell'architettura coloniale inglese (reminiscente della lezione di sir Christopher Wren) e a quella americana. In realtà anche il neoclassicismo britannico ebbe un suo revival greco: per apposite immagini si consulti A Digital Archive of Architecture, organizzato dal professor Jeffery Howe del Boston College (http://www.bc.edu), oppure l'Encyclopedia Britannica online. Per esempi americani è invece ottimo il Vermont Heritage Network (http://www.uvm.edu).
Sul problema che ci interessa, ma anche, più in generale su tutta la storia dell'arte, troviamo nel Web americano un altro strumento di notevole utilità: Art across Time di Laurie Schneider Adams, una vera e propria enciclopedia interattiva messa in rete dall'Online Learning Center (http://www.mhhe.com). L'intera storia dell'arte è suddivisa in trenta capitoli e ognuno di essi offre numerosi filmati su singoli monumenti o su singoli autori. Per il neoclassicismo abbiamo Canova, David, Ingres e Jefferson.
Se restiamo sempre nello stesso ambito temporale, ma passiamo a un altro aspetto delle rivoluzioni che investirono l'Occidente tra Sette e Ottocento, possiamo affrontare il tema della rivoluzione industriale. Gli studi sull'argomento sono oggi egregiamente sintetizzati da un pregevole lavoro di Salvatore Ciriacono: La rivoluzione industriale. Dalla protoindustrializzazione alla produzione flessibile (Milano, Bruno Mondadori, 2000). Ciriacono analizza i presupposti della rivoluzione industriale e ne enuclea i risultati. Quindi mostra come essa potesse avere origine soltanto in Inghilterra e infine riassume il dibattito storiografico.
Sulla rivoluzione industriale si può consultare ben poco in Italia. A livello didattico abbiamo gli "AppuntiRicerche" messi a disposizione su http://web.tiscalinet.it. Sostanzialmente sono ricerchine già pronte, alcune non indecenti (sconsiglio, però, di usare quella, penosa, intitolata "Ricerca molto completa sul medioevo").  Oltre oceano c'imbattiamo in più di 50.000 pagine. Molte fanno pubblicità alla nuova E-economy e partono dalla vecchia rivoluzione industriale per esaltare quella futura. Al proposito http://www.naturalcapitalism.org dichiara che molti uomini d'affari hanno continuato ad agire secondo linee di pensiero che non sono cambiate dai tempi della rivoluzione industriale, ora invece bisogna prepararsi a "the NEXT Industrial Revolution". È invece utilissimo il già menzionato Internet History Sourcebook Project diretto da Paul Halsall per la Fordham University (http://www.fordham.edu/halsall).
Nella sezione Internet Modern History Sourcebooks troviamo infatti un apposito capitolo sulla Rivoluzione industriale, che raccoglie materiali e testi relativi alla rivoluzione agricola e alla trasformazione delle tecniche di coltivazione e di allevamento dal Seicento all'Ottocento, alle innovazioni nel campo tessile, alla nascita delle ferrovie e della navigazione a vapore, ai grandi ingegneri e matematici dell'epoca (con molti rinvii su Charles Babbage, 1791-1871, uno degli avi dei computer). A fianco dei documenti sulle cause e le dinamiche della rivoluzione industriale abbiamo una seconda parte sugli effetti politico-sociali della rivoluzione (suddivisa a sua volta in: la vita dei lavoratori; la vita nelle città; il riformismo sociale) e una sulle descrizioni letterarie di tali conseguenze (Blake, Wordsworth, Dickens, Gaskell, Carlyle, Zola).

6. Miti e personaggi dell’età moderna

La Bruno Mondadori ha raccolto in un cofanetto tre opere dedicate al ruolo nella storia e nella cultura occidentale di eroi ed eroine, veri o inventati: Miti e personaggi del mondo classico (1997), Miti e personaggi dell’età moderna (1998) e Miti e personaggi del medioevo (1999), rispettivamente curate da Eric M. Moorman–Wilfried Uiterhoeve, Léon Stapper-Peter Altena-Michel Uyen e Willem P. Gerrisen-Antony G. van Melle. I tre volumi sono collegati tra loro da un utilissimo indice incrociato, che permette di mappare l’immaginario occidentale degli ultimi duemila anni. Inoltre sono integrati da altri due repertori: I personaggi biblici (1997) di Martin Bocian e Il mito di Didone. Avventure di una regina tra secoli e culture (1998) di Paola Bono e Maria Vittoria Tessitore.
Gli eroi che affondano le loro radici nel mondo antico sono ovviamente quelli a noi più noti: chi non ha studiato le vicende dei profeti veterotestamentari o le tragiche peripezie della regina Didone? Tuttavia i dizionari della Bruno Mondadori sui personaggi dell’antichità classica o vetero-testamentaria sorprendono per il numero delle schede (264 figure del mito e della letteratura antichi, 200 personaggi biblici) e per l’accanimento critico nel ricostituire le infinite volute della lunga carriera letteraria di un solo protagonista: è il caso del volume sulla regina cartaginese.
Gli eroi del volume medievale sono in genere altrettanto noti: chi non conosce Carlo Magno e re Artù, Attila e Teodorico, Robin Hood e il Cid? Tuttavia, leggendo le varie schede, si scoprono filoni insospettati: per esempio la continuazione della cultura classica nel medioevo (un tema molto dibattuto da quando si sottolinea che il Rinascimento non è stato il primo a riscoprire l’antichità) e il suo innestarsi in sostrati barbarici, dando vita a nuove tradizioni letterarie. Queste infine si rafforzano nell’età moderna e sono esplorate nell’apposito volume. In esso sono seguiti soltanto 54 personaggi, ma di tutti di gran peso. Alcuni provengono dalla tradizione medievale (per esempio Robin Hood e Giovanna d’Arco), altri sono di nuova creazione: dall’Amleto di Shakespeare al Faust di Marlowe e poi di Goethe, dal Chisciotte di Cervantes al Dracula di Stoker. Ciascuno esprime un momento determinato della cultura di un paese e tuttavia assume presto un valore universale. Forse soltanto il povero Guglielmo Tell resta quasi sempre confinato nel ristretto orizzonte svizzero.
Alcuni eroi hanno poi una “carriera internazionale” che lascia di stucco. Miti e personaggi dell’età moderna dedica, per esempio, un’esauriente voce a Don Giovanni, ma questi in Francia ha avuto diritto a un repertorio tutto suo, il Dictionnaire de Don Juan a cura di Pierre Brunel (Paris, Laffont, 1999), mentre José-Manuel Losada-Goya ha diretto una sostanziosa Bibliography of the Myth of Don Juan in Literary History (Lewinston, Edwin Mellan Press, 1997). Dal Burlador de Sevilla (1630) di Tirso de Molina a oggi i don Giovanni apparsi a stampa, sulle scene musicali e teatrali, e al cinema sono infiniti: nessun dizionario, per quanto esteso, riesce di fatto ad analizzarli tutti. Basti pensare che a don Giovanni s’ispirò persino Ellery Queen (o meglio si ispirarono i due cugini Frederic Dannay e Manfred B. Lee che si firmavano con quello pseudonimo) per il racconto The Death of Don Juan pubblicato su "Argosy" nel 1962.
Uno dei problemi caratteristici di ogni ricerca sui miti storico-letterari è lo scoprire se il personaggio in questione è veramente esistito. Alcune volte tali sforzi portano quanto meno a risultati curiosi: c’è chi per spiegare la nascita della leggenda di Don Giovanni ha rispolverato una pasquinata del 1556, nella quale si dileggiava un "Don Giovan" (Giovanni Carafa, nipote di Paolo IV) "ch’a tante tolse il fiore pur verginelle e sante". Altre volte (è il caso di Robin Hood) questi tentativi non offrono niente di definito e sono in fondo inutili: il personaggio ha da secoli una vita propria e la scoperta di un vero bandito di Sherwood non aggiungerebbe niente al mito stesso. Altre volte ancora si riesce infine a ricostruire l’origine storica di una particolare figura e si scopre che essa è pure utile per comprendere la genesi del personaggio.
Fabio Troncarelli in La spada e la croce. Guillén Lombardo e l’inquisizione in Messico (Salerno Editrice 1999) riscrive la biografia di un irlandese, William Lamport (1615-1659), prima emigrato in Spagna e poi trasferitosi nel Nuovo Mondo (1640). Qui Lamport, che aveva ispanizzato il suo nome e cognome in Guillén Lombard, doveva agire come informatore della Corona e riferire sul marchese di Villena, nuovo viceré. Questi in effetti, grazie anche ai rapporti della spia, fu presto deposto, ma seppe vendicarsi: nel 1642 Lamport fu arrestato e nel 1659, dopo 17 anni di prigionia praticamente ininterrotta, fu arso sul rogo. Tra i capi di accusa vi erano quelli di aver voluto staccare la colonia dalla madrepatria e farsene re. Per tutta la durata del processo Lamport si dichiarò innocente e vittima di un complotto. Stanco di proclamare la propria innocenza il Natale del 1650 evase e cercò di fomentare la protesta di schiavi e indios: il 27 dicembre fu, però, ripreso e il suo destino segnato.
Lamport fu quindi dimenticato, ma il suo fato era segnato anche sul piano letterario: gli atti del suo processo ispirarono Valente Riva Palacio, massone, ex-generale e scrittore di romanzi storici, che nelle Memorie di un impostore (1872) lo immaginò impegnato a lottare contro la tirannia assieme all’amico don Diego. Nel romanzo i due conducono una doppia vita: inappuntabili di giorno, ma di notte scatenati contro l’inquisizione. Lamport soprattutto è inarrestabile, finalmente imprigionato riesce a sfuggire, piegando il corpo a forma di Z per adattarlo a un pertugio. Mezzo secolo più tardi il giornalista e massone americano Johnston McCulley riprese l’idea in La maledizione di Capistrano (1919). Riassunse, però, i due protagonisti in uno solo, don Diego Vega, e spostò l’azione dal Messico seicentesco alla California a cavallo tra Sette e Ottocento. Inoltre mantenne la Z - un simbolo massonico - ma la trasformò nel marchio del suo eroe. Questi ebbe un immediato successo e ispirò un celebre film Il segno di Zorro (1920) di Fred Niblo con Douglas Fairbanks, altro noto massone. Zorro, la volpe, divenne così per sempre l’alter-ego notturno e coraggioso dell’apparentemente effeminato don Diego de la Vega (l’eroe aveva preso nel frattempo un cognome più nobile) e il personaggio giunse sino ai giorni nostri, attraverso infinite serie televisive e adattamenti cinematografici, trasformandosi da ideale massonico in divertimento per bambini.
Zorro ha tutto sommato una carriera assai complessa, grazie anche alla complicata trasposizione della sfortunata missione spionistica di Lamport nel Messico del Seicento alla rivolta contro il biechi spagnoli della California. E’ quindi un grande merito di Troncarelli aver dipanato una matassa così malamente intrecciata e di aver ampliato la ricerca sulla fortuna postuma del personaggio nel più recente Zorro (Palermo, Epos, 2001). In altri casi è meno difficile ricostruire la genesi di un personaggio, perché la realtà storica è da tutti conosciuta. Basti pensare a una figura femminile cui è stato dedicato Beatrice Cenci la storia il mito curato da Mario Bevilacqua ed Elisabetta Mori (Fondazione Marco Besso – Viella 1999), catalogo della mostra romana per il quattrocentesimo anniversario della decapitazione dell’eroina. La prima parte del volume ricostruisce il famoso delitto di Francesco Cenci, commissionato dalla figlia e dalla seconda sposa di lui, e disegna il quadro delle sfortune familiari sullo sfondo delle trasformazioni economico-sociali della Roma di fine Cinquecento. La seconda parte analizza le carte del processo e le testimonianze dell’esecuzione per mostrare come quasi subito, se non addirittura già durante i giorni che precedettero la morte, la giovane Beatrice sia divenuta un personaggio di spicco. E come tale doveva tornare più volte nella tradizione artistica da Guido Reni alla scapigliatura, in quella teatrale (da Shelley ad Artaud) e in seguito cinematografica (fino al brutto film di Tavernier, Quarto comandamento del 1987) e infine in quella letteraria. Ha infatti ispirato Stendhal, ma un suo ritratto ha anche scosso i nervi di Hawthorne e ha avuto non piccola parte nelle pagine nate dal soggiorno romano dello scrittore americano.
In conclusione la storia moderna ha dato vita a meno personaggi di quelli nati nella tradizione classica e medievale. Tuttavia è riuscita a creare consistenti filoni, tenuto anche conto del minor numero di secoli a disposizione. Vale quindi la pena di tener d’occhio questo campo di studi e di cercare di approfondirlo. Nel frattempo possiamo navigare alla loro ricerca sulla rete. Di tutti i personaggi citati quello che riscuote più successo sul Web è Robin Hood. Mediamente i motori di ricerca danno quasi 160.000 pagine legate al suo nome. Certo molte sono le home page di alberghi o di prodotti che prendono il nome dal fuorilegge di Sherwood ed altre presentano analisi di singoli film dedicati al personaggio. Tuttavia c'è una sezione del sito della Biblioteca dell'Università di Rochester negli Stati Uniti che compensa qualsiasi delusione. The Robin Hood Project (http://www.lib.rochester.edu/camelot/rh/) raccoglie e analizza infatti non soltanto qualsiasi informazione sul nostro desumibile dalla documentazione d'archivio, ma anche tutti i testi (dal medioevo ai giorni nostri), tutti i quadri e tutti i film. Il progetto Robin Hood si trova poi all'interno di un progetto ancora più vasto, che schdea tutti i materiali sulla tradizione arturiana (http://www.lib.rochester.edu/camelot/) e che arriva persino a registrare le interviste a tutti gli autori viventi che si sono interessati alla sorta del grande re.
Don Giovanni è meno fortunato di Robin, ma di poco: il suo score telematico si situa un po' sotto le 130.000 pagine. Qui in compenso la robaccia è molta di più: in particolare i siti di appuntamenti e chat amorosi come il Don Juan's Romantic Web site (http://www.geocities.com/Paris/Leftbank/4528/). È interessante la descrizione on-line di come è stato organizzato il cd The Comprehensive Bibliography of Don Juan in All the Arts (http://www.don-juan.com) e sono utili alcuni indirizzi letterari: è per esempio disponibile la versione commentata e linkata del Don Juan di George Byron (http://www.geocities.com/Athens/Delphi/7086/donjuan.htm). Versioni integrali, ma senza commento sono inoltre disponibili per altre opere. Una ricchezza d'indirizzi quasi analoga si trova per Zorro. Andiamo infatti sui 126.000 documenti, tra i quali le numerosissime pagine di http://www.zorro.com. Questo sito commerciale scheda quasi tutte le raffigurazioni di don Diego de la Vega, con particolare attenzione ai film e ai telefilm, alle opere teatrali e ai videogiochi. Beatrice Cenci è infine la più sfortunata, nonostante o forse proprio perché è l'unico personaggio veramente storico: ha ottenuto solo un migliaio di pagine, quasi tutte di commento ad opere musicali, film e quadri a lei dedicati. In genere sono di scarso valore, con l'unica eccezione di un lungo commento all'interpretazione della sventurata romana suggerita da Percy Bysshe Shelley (http://prometheus.cc.emory.edu/panel/3B/R.Kobbetts.html).

7. Mazzini

Sullo scorcio del millennio appena finito alcuni contributi sulla storia del Risorgimento italiano hanno riportato in auge la figura di Mazzini. Nei quattro o cinque anni precedenti questo personaggio era infatti scomparso dall'orizzonte del lettore medio, nonostante che tutti lo avessero dovuto studiare con minore o maggiore reverenza durante gli anni scolastici e che su di lui fossero state ancora scritte opere di non poco peso nella prima metà degli anni novanta. Troppo religioso per affascinare la sinistra e troppo eterodosso per attirare anche la destra più patriottica, la fortuna di Mazzini aveva sofferto un colpo troppo rude con l'affacciarsi alla ribalta politica delle spinte leghiste e federaliste e il quasi contemporaneo affossamento del partito repubblicano. Il ricordo dell'esule genovese era così finito nel ghetto delle pubblicazioni specializzate, alcune delle quali di grande acume come per esempio il numero speciale per il 150° Anniversario della Repubblica romana del 1849 della "Rassegna storica del Risorgimento", supplemento al quarto fascicolo del 1999.
Invece Michele Finelli ("Il prezioso elemento". Giuseppe Mazzini e gli emigrati italiani nell'esperienza della scuola italiana di Londra, Verrucchio, Pazzini Editore, 1999) ha saputo dare una nuova prospettiva alla vicenda del lunghissimo esilio londinese e, pur con qualche ingenuità, l'ha diligentemente inquadrata nella storia dell'immigrazione italiana in Gran Bretagna. È così riuscito a trascinarla fuori dalle secche della storia patriottica e a suggerire un nuovo approccio che andrebbe approfondito, come d'altronde tutto il quadro dell'emigrazione politica italiana tra Otto e Novecento. Roland Sarti (Giuseppe Mazzini. La politica come religione civile, Roma-Bari, Laterza, 2000) ha invece proceduto alla stesura di una biografia più tradizionale, ma vivace, ben documentata e ricca anche di materiali sui periodi in genere più trascurati. Soprattutto ha concluso il suo volume con un suggestivo saggetto sulla fortuna di Mazzini e ha indicato perché la cultura politica italiana stesse comunque dimenticandolo. Sviluppando quanto scritto da Sarti si potrebbe quindi dire che l'apporto di Bossi o di Miglio è stato soltanto l'ultimo passo di un processo già in atto.
Dopo aver letto i due libri viene ovviamente la curiosità di vedere cosa si dica su Mazzini nella rete italiana. La prima prova dà risultati confortanti: 1.207 pagine su Altavista e 1.700 su Google. Il problema è che una grandissima parte riguardano le scuole dedicate a Mazzini, un'altra i francobolli (vedi http://www.mediasoft.it/francobolli) e molte non dicono comunque un granché. L'Istituto mazziniano di Genova (http://web.tiscalinet.it/Mazzinihouse) presenta, per esempio, in maniera troppo sbrigativa l'edificio natale dell'esule e offre link ai musei risorgimentali di Torino, Milano, Vicenza, Bologna, Piacenza, Ferrara e Palermo. La pagina sul restauro del monumento a Mazzini nella capitale (http://www.comune.roma.it) non è molto più avvincente.
Fortunatamente la Domus Mazziniana di Pisa ha invece un bel sito, che informa sulle attività sue museali e librarie, nonché sulla stessa vicenda dell'istituzione. Http://www.domusmazziniana.it è articolato in sei sezioni: attività della Domus; vita e opere di Mazzini; archivio; biblioteca; bollettino; e pubblicazioni. Più una storia del sito stesso. La prima sezione descrive il programma più recente e i cicli di conferenze della Domus, mentre un'apposita appendice riassume la genesi dell'istituzione. La seconda presenta una biografia e una bibliografia di Mazzini, il testo dei Doveri dell'uomo, una descrizione della casa del nostro e una pagina sui siti in qualche modo a lui dedicati, sulla quale torneremo. La terza raccoglie l'indice dei mittenti nell'archivio e la descrizione dei fondi archivistici; riporta inoltre alcuni testi mazziniani. La quarta elenca le riviste nella biblioteca e presenta il fondo Piraino. La quinta offre numeri del "Bollettino" e l'indice degli articoli dal 1952 al 1996. La sesta elenca infine le collane e le pubblicazioni della Domus.
Per quanto ci riguarda è particolarmente interessante la pagina sugli indirizzi mazziniani in rete. Questa conferma infatti quanto scoperto empiricamente e cioè la povertà dell'offerta. Indica quindi soprattutto gli indirizzi di alcune biblioteche e di qualche museo. Critica implicitamente la presentazione online dell'Istituto mazziniano, di cui tuttavia non conosce l'indirizzo su tiscalinet, visto che rimanda al sito del comune di Genova e a http://www.museionline.com. Suggerisce di trovare aggiornamenti bibliografici tra riviste, quali per esempio l'"Archivio Storico Italiano" (http://www.storia.unifi.it) oppure "Studi Storici" (su www.liberliber.it), l'archivio di stato fiorentino (http://www.unifi.it) e alcune istituzioni universitarie straniere: l'Institute of Historical Research dell'Università di Londra (http://history.cc.ukans.edu) oppure la già citata raccolta di testi dell'Università Fordham (http://www.fordham.edu/halsall). Indica infine che per i testi francesi si deve andare sul sito Gallica della nuova Biblioteca Nazionale francese.
La Domus Mazziniana presta anche attenzione agli indirizzi che offrono biografie mazziniane (vedi http://www.evo.it) o sintesi di storia risorgimentale (http://www.geocities.com). Ricorda infine che il più bel sito risorgimentale italiano è quello creato dal Museo Nazionale del Risorgimento di Torino, il quale mette in rete anche materiali  sulla sala dedicata a Mazzini.
In conclusione il sito pisano è un ottimo strumento per chi voglia approfondire o anche soltanto iniziare lo studio di Mazzini. Inoltre è uno dei primi siti italiani all'altezza di quelli stranieri, anche se in alcune pagine rivela una certa goffaggine nel rendere parole con l'apostrofo, con la dieresi o accentate: un piccolo errore che andrebbe curato per migliorare la fruizione di un utilissimo sussidio.

7. Mazzini e la Repubblica Romana

Nel centocinquantesimo anniversario della Repubblica Romana alcune istituzioni della Capitale sono intervenute per sollecitare una ripresa d'interesse per quell'evento. L'Archivio di Stato di Roma ha esposto una ricca messe di documenti, tra i quali alcune lettere di Mazzini. I testi e le immagini sono stati raccolti in Roma, Repubblica: venite! Percorsi attraverso la documentazione della Repubblica Romana del 1849, a cura di Monica Calzolari, Elvira Grantaliano, Marina Pieretti e Angela Lanconelli, con introduzione di Luigi Londei, Roma, Gangemi, 1999, secondo quaderno della "Rivista Storica del Lazio", rivista scientifica sviluppatasi sotto gli auspici dell'Assessorato (poi Dipartimento) per la Promozione della Cultura, dello Spettacolo e del Turismo della Regione Lazio.
Lo stesso Dipartimento ha sponsorizzato assieme al Centro Studi Americani di Roma Gli Americani e la Repubblica Romana del 1849, a cura di Sara Antonelli, Daniele Fiorentino e Giuseppe Monsagrati (Roma, Gangemi, 2000), una raccolta di saggi storico-letterari accompagnati da un'ampia scelta di testi ottocenteschi. L'attenzione americana e quella europea alla Repubblica Romana sono inoltre sviscerate nel numero speciale per il 150° Anniversario della Repubblica romana del 1849 della "Rassegna storica del Risorgimento" (supplemento al quarto fascicolo del 1999).
La Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea di Roma ha dedicato a La Repubblica Romana del 1849 e la difesa del Gianicolo una mostra (marzo-maggio 2001) basata su immagini d'epoca. Il catalogo (Fondare la nazione. I repubblicani del 1849 e la difesa del Gianicolo) è stato curato da Lauro Rossi e pubblicato dai Fratelli Palombi. Da notare che la Biblioteca studia da tempo di quello che possiamo considerare il lungo Ottocento (dalla Rivoluzione Francese, e in particolare dal Triennio giacobino in Italia, alla Grande Guerra) e ha un ottimo sito per seguire le sue iniziative (http://www.moderna.librari.beniculturali.it).
A proposito di Internet vale la pena di ricordare la pagina, con illustrazioni tratte dalla Collezione Primoli del Museo del Risorgimento di Roma, sulla difesa militare della Repubblica Romana nel Museo virtuale dell'esercito italiano (http://www.collezioni-f.it/museo/museo.html). Sempre sul Web vedi infine la cronologia della Repubblica Romana a cura di Paolo Deotto: http://www.cronologia.com/storia/a1849a.htm.
In questi volumi e in queste pagine Web torna continuamente la figura di Giuseppe Mazzini, il triunviro della Repubblica Romana che spinse per protrarre la resistenza ai francesi. Abbiamo già segnalato il ritorno di interesse per l'esule genovese, oggi Sergio Luzzatto ribadisce l'importanza del personaggio con La mummia della Repubblica. Storia di Mazzini imbalsamato 1872-1946, Milano, Rizzoli, 2001. Il volumetto è un ampliamento un po' frettoloso, ma ricco di notazioni intelligenti, di un lavoro apparso sulla "Rivista Storica Italiana" (2000, pp. 654-702) e ispirato dalla recente passione dell'autore per la storia dei corpi. Dopo aver scritto alcuni dei migliori libri italiani sulla Rivoluzione francese (Il terrore ricordato, Marietti 1988 ed Einaudi 2000; L'autunno della Rivoluzione, Einaudi 1994), Luzzatto ha infatti iniziato a indagare sul "corpo del duce" nell'iconografia d'epoca e in quella successiva alla sua morte (Il corpo del duce, Einaudi 1998; L'immagine del duce, Editore Riuniti 2001). Lo spostamento verso il Novecento ha incontrato il favore del pubblico e della stampa, ma ha sollevato anche decise critiche da parte dei colleghi.
Con Mazzini Luzzatto si è riavvicinato ai lidi meglio conosciuti, pur continuando l'esplorazione dei "corpi" celebri. Quello del triunviro, defunto come è noto a Pisa nel 1872, fu pietrificato per essere sepolto nel cimitero genovese di Staglieno. Luzzatto segue il dibattito su tale operazione e sul tentativo di fare della salma, così conservata, la reliquia di una religione civile. Annota quindi come i tempi cambiarono e come il ricordo di Mazzini non bastò per fornire un elemento unificatore all'Italia repubblicana. Il sepolcro cadde nell'oblio, ma il culto mazziniano ebbe momenti di ripresa, in particolare durante il ventennio fascista, quando fu conteso dal'intelligentsia di regime e da alcuni oppositori, e nei primi anni della Repubblica italiana. Nel 1946, scrive Luzzatto, il sepolcro fu riaperto e la salma studiata. Qualche anno dopo alcuni irriducibili provarono a celebrare il centenario della Repubblica Romana, ma la passione civile stava esaurendosi e il ricordo del passato repubblicano impallidiva di fronte alle nuove battaglie.
È inutile riverificare sulla rete la fortuna mazziniana, perché lo abbiamo fatto nel capitolo precedente, si può invece partire da http://www.iue.it/LIB/SISSCO/, la home page della Società italiana per lo studio della storia contemporanea, per vedere di trovare qualcosa su Luzzatto. Se digitiamo il suo nome nell'apposito modulo di ricerca, scopriamo che ha collaborato con un articolo sulla cultura nella Francia di Luigi Filippo ad una delle prime riviste sul Web diffuse in Italia: "Cromohs. Cyber Review of Modern Historiography" (http://www.unifi.it/riviste/cromohs/1_96/index1.htm). Inoltre che il suo studio sul corpo del duce ha avuto una discreta eco (vedi http://digilander.iol.it/bava78/lett99.htm). Infine troviamo un'intervista ad Alain Boureau sullo studioso tedesco Ernst Kantorowicz (http://www.grandlivredumois.fr/static/actu/rencontres/kantorowicz.htm), il primo ad occuparsi, dopo essere emigrato negli Stati Uniti, dei "corpi" nella storia e quindi ad aprire la strada a Luzzatto con il magistrale I due corpi del re, apparso nel 1957 e proposto in Italia da Einaudi nel 1989. In Luzzatto c'è tuttavia un di più, rispetto a Kantorowicz e a Boureau, probabilmente legato al fatto che il corpo morto da lui indagato non è tanto quello di Mazzini, quanto quello della Rivoluzione (sia pure mancata, come nel Risorgimento italiano). Si legga al proposito l'illuminante recensione di Gabriele Pedullà (Luzzatto, stendhaliane autopsie, "Alias", 2 giugno 2001, p. 17), un critico letterario, che ogni tanto compie fulminee ed efficaci incursioni nel campo della scrittura storica.

Parte III

 L'età contemporanea

Pur avendo una personale propensione per l'attuale tendenza a far cominciare l'età contemporanea con la prima guerra mondiale, non sarò così rigido da eliminare in questa sezione qualsiasi fenomeno preceda la grande guerra. D'altra parte non sempre i siti Web seguono gli ultimissimi dibattiti storiografici e quindi capita anche che in essi siano considerati come legati alla contemporaneità avvenimenti o personaggi che per uno studioso à la page sono inguaribilmente di antico regime. In ogni caso è evidente che nel Web si costruisce, soprattutto attraverso l'opera degli appassionati, l'enciclopedia della contemporaneità e che questa celebra non soltanto la nascita di un nuovo mondo, ma anche il trionfo di quello che l'età contemporanea aveva definito il Nuovo Mondo, ovvero l'America. Il mondo contemporaneo descritto dai siti analizzati nelle pagine seguenti è quindi soprattutto quello americano, anzi, per esser più precisi, quello statunitense, magari visto attraverso il filtro dell'emigrazione dal Vecchio al Nuovo Mondo. Inoltre vi è un grandissimo numero di pagine sulla guerra, un tema sul quale torneremo, ma della cui preminenza in rete bisogna comunque iniziare a parlare.

1. Il primo impero americano

Gli strascichi della guerra nel Kosovo, dal licenziamento del generale Wesley Clark alle crescenti tensioni in Macedonia, hanno suscitato numerosi interrogativi sulla politica estera statunitense e i suoi rapporti con la politica europea. In particolare alcuni si sono chiesti se gli americani vogliano colonizzare l’Europa o soltanto collaborare con essa. E’ un interrogativo probabilmente ingenuo, ma che incuriosisce il lettore di quotidiani e lo studioso di professione. Non è infatti un caso che da anni gli storici studino assiduamente la politica estera americana. Nel 1996 Federico Romero ha per esempio dedicato all’espansione americana un bel volumetto della collana XX Secolo (L’impero americano. Gli U.S.A. potenza mondiale, Giunti), accompagnato da numerosi contributi sulle principali riviste scientifiche italiane e oggi ripreso da una più generale meditazione sulla Storia internazionale del Novecento (Roma, Carocci 2001). In questa prospettiva gli studiosi italiani hanno dato molto spazio alle vicende di casa nostra. L’impatto americano sulla nostra politica interna è stato commentato da una vastissima produzione storiografica, in particolare dall’imponente studio di Leopoldo Nuti Gli Stati Uniti e l’apertura a sinistra. Importanza e limiti della presenza americana in Italia (Roma-Bari, Laterza, 1999). Si tratta di un lavoro fondamentale, che amplia la conoscenza delle fonti archivistiche e fa giustizia di molte intepretazioni erronee. In compenso l’autore è a volte troppo restio nel tirare le fila di quanto trovato, quasi tema che un giudizio troppo tagliente lo porti a varcare quelli che considera i limiti scientifici della disciplina.
Per quel che riguarda il nostro tema, occorre notare come Nuti si serva di materiale disponibile in rete, in particolare per rendere conto di progetti o proposte di ricerca. E’ un uso quindi altamente qualificato, tuttavia, optando per un approccio meno raffinato, è possibile trovare sul Web documentazione più accessibile e molto materiale didattico.Un sito da esplorare al proposito è quello della Small Planet, una società che si dichiara specializzata nella "tramissione di idee attraverso qualsiasi medium", dai libri ai CD-ROM e dai video ai web-sites. Attualmente la Planet offre su Internet due sezioni a carattere storico: una sulla guerra civile e l’altra sull’espansione americana alla fine dell'Ottocento (http://www.smplanet.com/imperialism/).
Questa seconda sezione s’intitola The Age of Imperialism ed è dedicata agli anni a cavallo dei due secoli, un’epoca che viene definita dai curatori centrale per il successivo sviluppo della nazione. La sezione consta di cinque parti. Le prime due, che sono anche le più ariose, trattano dell’espansione nel Pacifico e della guerra di Cuba, cioè del conflitto fra Spagna e Stati Uniti esploso alla fine del secolo scorso. Le successive indagano sulla rivolta dei Boxer in Cina, sulla costruzione del canale di Panama e sull’intervento statunitense nell’America latina. Una bibliografia, non particolarmente aggiornata, né particolarmente approfondita, chiude la sezione. In effetti la Planet non ha voluto riassumere le più recenti ricerche, ma saggiare la possibilità della rete per divulgare la conoscenza storica.
Se prendiamo in considerazione la parte sulla guerra di Cuba notiamo subito il tono disteso della narrazione. Il testo scritto descrive la nave militare americane Maine, mentre si dondola all’ancora nel porto dell’Avana, dove è arrivata il 25 gennaio 1898. Nella sua cabina il capitano Charles Sigsbee scrive alla moglie, raccontandole che il generale Fitzhugh Lee, console americano a Cuba, gli ha promesso una pronta soluzione delle tensioni tra americani e spagnoli. A questo punto si può cliccare sulle foto del capitano e del console per avere più dati biografici, oppure richiamare le cartine di Cuba (interattiva: se si evidenzia l’Avana, appare la mappa della città), dei Caraibi e dell’America Latina. Il testo riprende, ricordando come, non appena il capitano posò la penna, la nave esplose causando 262 morti. Qui è possibile richiamare foto d’epoca oppure una prospettiva stereoscopica della nave che affonda.
Il commento scritto ricorda che l’indagine condotta dalla Marina americana non seppe determinare le cause dell’esplosione. In compenso la stampa sensazionalistica americana s’impadronì della tragedia per spingere alla guerra contro gli spagnoli (filmati e foto mostrano come si facevano i giornali all’epoca e come si distribuivano). Il parlamento votò 50 milioni di dollari per preparare la guerra e una buona parte dello stanziamento finì alla Marina. Questa aveva la flotta nel Pacifico e la dirottò contro le navi spagnole delle Filippine. Il testo descrive lo scontro secondo la migliore tradizione hollywoodiana : le navi americane si avvicinano sotto il fuoco nemico e sparano una bordata dopo l’altra sugli avversari. Adeguati richiami permettono di ricorrere a cartine e foto di marinai, mentre un breve sommario della storia delle Filippine spiega perché gli americani le abbiano attaccate. Quindi si ritorna a Cuba e alla spedizione preparata da Theodore Roosevelt: anche qui il tono è da epica cinematografica e Teddy (come è affezionatamente chiamato) cavalca verso il nemico con una pistola in una mano e la sciabola nell’altra. Intanto sogghigna felice e abbatte nemici come fossero lepri durante una partita di caccia.
E’ evidente che la narrazione è a un livello ascientifico e tuttavia il ritmo sincopato, la costruzione cinematografica e l’uso continuo di foto, mappe e altri supporti iconografici, permettono di visualizzare e ricordare gli avvenimenti. I curatori riescono anche a criticare l’espansionismo americano e a sottolineare come quell’"epica" conquista fu fatta a spese altrui. E’ una lezione storiografica in controtendenza rispetto a quanto si fa qui in Italia, dove banche dati, siti e CD-ROM storici sono quasi sempre assai pedanti.. E suggerisce che forse, almeno a livelli elementari, si potrebbe rendere la storia più attraente e riportarla, almeno sul piano didattico, al suo ruolo originario d’intrattenimento educativo.
Proprio su questa possibilità insiste il "Magazine of History", curato dall'Organization of American Historians per gi insegnanti (è a stampa, ma con versione telematica a http://www.indiana.edu/~/magazine). Da diverso tempo ogni numero offre anche una rassegna di risorse telematiche e così il numero dell'estate 1999 (vol. 13, n. 4, dedicato alla cosiddetta "Gilded Age" e cioè al periodo che seguì la guerra civile, segnala una enorme quantità di documenti sulla storia americana tra il 1860 e la prima guerra mondiale, tra i quali uno specifico, molto interessante, sulla presidenza McKinley e la guerra tra Spagna e America (http://www.history.ohio-state.edu/projects/mckinley/SpanAmWar.htm).

2. Il mito americano

In Italia la produzione saggistica del 2000 è stata caratterizzata da una notevole percentuale di opere sugli Stati Uniti. Tutte le più dinamiche case editrici hanno pubblicato volumi sui più disparati aspetti della vita e della cultura americane. La Carocci di Roma ha coperto la storia dell'arte (Adachiara Zevi, Arte USA del Novecento), la storia delle politiche sociali (Sandro Segre, Le politiche sociali in tema di stupefacenti. Un confronto fra Svezia, Stati Uniti e Italia) e lo sviluppo delle pubbliche relazioni (Ferdinando Fasce, La democrazia degli affari. Comunicazione aziendale e discorso pubblico negli Stati Uniti 1900-1940). Inoltre il secondo numero di "900. Rassegna di storia contemporanea" - il semestrale dell'Istituto Storico di Modena, sempre edito da Carocci - è stato integralmente dedicato a Il secolo americano. Per Franco Angeli Stefano Luconi ha pubblicato La "diplomazia parallela". Il regime fascista e la mobilitazione politica degli italo-americani, mentre per Laterza Daniela Rossini ha analizzato Il mito americano nell'Italia della Grande Guerra. Donzelli ha tradotto la Storia della libertà americana di Eric Foner, arricchita da una presentazione di Alessandro Portelli. Infine due nuovi manuali della Bruno Mondadori (Tommaso Detti - Giovanni Gozzini, Storia contemporanea. I. L'Ottocento, e Giuliano Procacci, Storia del XX secolo) hanno costantemente intervallato i capitoli sull'Europa a quelli dedicati al caso statunitense e la stessa attenzione per gli Stati Uniti è stata mostrata dalla Storia del giornalismo di Giovanni Gozzini, in catalogo sempre per la stessa casa editrice.
Questa decina di opere, tutte egualmente interessanti, non sono che la punta dell'iceberg e testimoniano del rinnovato interesse per la storia e la cultura statunitensi. Grazie a questi e ad altri volumi, recentemente usciti, il lettore italiano può pienamente informarsi su tutti gli aspetti della vita americana, tuttavia per chi vuole anche raccogliere dati e immagini sulle rete è ora disponibile un formidabile strumento. American Memory, creato dalla Library of Congress di Washington. Questa ricchissima biblioteca sta infatti da tempo elaborando uno spettacolare National Digital Library Program, che dovrebbe portarla a diffondere su Internet tutte le sue enormi risorse librarie, nonché riproduzioni di documenti, manoscritti, fotografie, registrazioni sonore e persino film.
Per il momento il progetto è agli inizi; tuttavia ad http://www.loc.gov/ è già disponibile una documentazione enorme. Oltre all'accesso al catalogo della biblioteca, è infatti possibile consultare una serie di esposizioni. Alcune sono multimediali, come quelle dedicate alla storia degli Afroamericani (The African American Odissey), al vaudeville e all'intrattenimento di massa tra il 1870 e il 1920 (American Variety Stage), alle vite dei cowboy del Nevada tra il 1945 e il 1982 (Buckaroos in Paradise), allo sviluppo del baseball dal 1860 al 1970 (Jackie Robinson and Other Baseball Highlights) e all'economia degli anni 20 di questo secolo, cioè del ruggente decennio che precedette la Crisi del 1929 (Prosperity and Thrift). Altre sfruttano solo media specifici. Registrazioni sonore permettono di ascoltare le voci dei grandi politici americani durante la prima guerra mondiale e l'elezione del 1920 (American Leaders Speak), le canzoni folk della California degli anni 30 (California Gold) e le incredibili registrazioni musicali di John e Ruby Lomax durante il lunghissimo viaggio del 1939 nel cuore degli stati sudisti (Southern Mosaic). Le notevoli collezioni di mappe ci permettono a loro volta di seguire l'occupazione del subcontinente e la formazione degli Stati Uniti (Map Collections 1597-1988), oppure lo sviluppo dei primi insediamenti nella Liberia (Maps of Liberia 1830-1870), dove l'American Coloniziation Society trasportò un certo numero di afro-americani liberi. Di rilievo sono anche le collezioni filmiche, che documentano, per esempio, le condizioni di San Francisco dopo i disastri del primo Novecento (Before and After the Great Earthquake and Fire), la tecnologia di una fabbrica americana di inizio secolo (Inside an American Factory) e la vita del presidente Theodore Roosevelt (Theodore Roosevelt: His Life and Times on Film). Ma non sono certo da trascurare le collezioni fotografiche ed iconografiche: i dagherrotipi (America's First Look into the Camera), le immagini della colonizzazione delle grande pianure (The Northern Great Plans 1880-1920), i ritratti dei presidenti e delle loro signore (Portraits of Presidents and First Ladies).
Le collezioni di documenti sono impressionanti: le carte di George Washington (The George Washington Papers 1741-1798) e quelle di Thomas Jefferson, ivi compresa la sua collezione di materiali sulla Virginia coloniale, la documentazione relativa all'elaborazione della Dichiarazione d'Indipendenza e alla Costituzione (Documents from the Continental Congress and Constitutional Convention 1774-1789), i pamphlet relativi alla condizione afro-americana tra il 1818 e il 1907 (African American Perspectives), le testimonianze sulla corsa all'oro nella California (California as I Saw It) le carte della famiglia di Graham Bell, il fondatore della prima compagnia telefonica americana (The Alexander Graham Bell Family Papers), le storie di vita raccolte dal Federal Writers Project nel 1936-1940 (American Life Histories). Quanto è già a disposizione in American Memory costituisce già un patrimonio inestimabile per gli studenti, per gli studiosi e per i semplici curiosi. Inoltre l'accesso alle varie collezioni è facile grazie a una serie di strumenti di ricerca ed è pure possibile saltare alle collezioni di alcuni progetti universitari.

3. Le due guerre mondiali e l'entre-deux-guerres

Come avremo modo di vedere più avanti, il Web è ricco di informazioni sulle guerre. La sola voce "world wars" (guerre mondiali) vi porta attraverso Alltheweb (http://www.alltheweb.com) a ben 1.378.917 documenti. Non tutti riguardano strettamente le due grandi guerre del Novecento. Per esempio troviamo elencata una brillante parodia del Macbeth di Shakespeare rifatto come fosse un episodio di Star Wars (http://www.glenridge.org/macbeth). Per semplificare (e anche per avere un indirizzo valido per ulteriori ricerche) possiamo partire da http://www.123world.com/wars che raccoglie buona parte dei link ai siti di storia militare e soprattutto offre, in ordine alfabetico, schemi ragionati per lo studio di qualsiasi conflitto dalla preistoria alla guerra del Golfo. Molti siti di storia militare riguardano specificamente la prima guerra mondiale. In questo caso si può usare come portale The World War I Document Archive, che fornisce l'elenco delle risorse in rete: link, fotografie e articoli (http://www.lib.byu.edu/~rdh/wwi). È opportuno non trascurare i siti commerciali, alcuni sono infatti a un buon livello: è il caso, ad esempio, di World War I: Trenches on the Web (www.worldwar1.com).
La stessa avvertenza vale pure per la seconda guerra mondiale. Qui Alltheweb elenca 1.886.448 documenti, ma è meglio farsi aiutare da WWWII Resources (http://www.ibiblio.org/pha/). Questo sito offre infatti migliaia di indirizzi e soprattutto raccoglie migliaia di documenti (d'archivio e letterari) sulla politica estera delle maggiori nazioni occidentali e orientali negli anni 1930, sulla guerra e sulla successiva pace. I blocchi di documenti (politica estera americana, inglese, giapponese, tedesca; relazioni tra Germania e URSS negli anni 1939-1941; l'investigazione americana su Pearl Harbor; la campagna sottomarina tedesca; l'attività spionistica in Europa; la resa d'Italia, Germania e Giappone) sono inoltre intervallati da cronologie specializzate. WWWII Resources presta attenzione soprattutto ai documenti scritti, mentre Sandra Stewart Holyoak dirige per l'Università Rutgers gli Oral History Archives of World War II che a metà giugno 2001 raccoglievano 173 interviste a testimoni del conflitto (http://fas-history.rutgers.edu/oralhistory/). Infine i National Archives di Washington ospitano nel loro sito, già menzionato, l'esposizione permanente Powers of Persuasion. Poster Art from World War II (http://www.nara.gov./exhall/powers/).
Non mancano materiali sul periodo tra le due guerre, quello cui Leonardo Rapone ha dedicato La socialdemocrazia europea tra le due guerre (Roma, Carocci, 2000), mettendo a fuoco i tentativi socialdemocratici d’influire sulla politica estera di singoli paesi e la dialettica all’interno della famiglia politica socialdemocratica tra le varie espressioni nazionali. Si tratta di una storia tragica, perché tanti suoi protagonisti scomparvero nell’olocausto bellico. E’ tuttavia anche una storia di resistenza alle avversità e di capacità di opporsi al mostro nazista, anche quando le condizioni apparivano disperate. Basti ricordare la fermezza con la quale i laburisti inglesi fecero pressione sul vacillante Chamberlain, affinché onorasse gli impegni presi con la Polonia, l’apporto laburista al governo Churchill, il coraggio con il quale Léon Blum rifiutò di sancire il regime di Vichy e finì per essere deportato in Germania.
Rapone si è servito di supporti informatici ed ha esplorato la rete. Ha così utilizzato il sito http://www.socialistinternational.org che fa da ponte ai 143 partiti che oggi partecipano all’internazionale socialista. Grazie a questo accesso è possibile accedere alle pagine dei vari partiti socialisti e leggere buona parte della loro documentazione ufficiale passata e presente.
Naturalmente, però, la curiosità maggiore è per le risorse relative al nazifascismo. Anche qui l'offerta è notevole: alla query "nazism" vengono indicate una media di 60.000 pagine dai vari motori di ricerca; a quella "fascismo", circa 50.000. In entrambi i casi dovete scontare sia i siti di propaganda neonazista e neofascista, sia quelli di lotta antifascista (per questi ultimi: http://www.carf.demon.co.uk; http://www.anti-fascism.org/). Se cercate documenti sul nazismo storico tramite Alltheweb trovate di primo acchito pagine sull'olocausto, sulla Germania e soprattutto sull'occultismo. In particolare è sorprendente quanti siano stati colpiti dalle varie forme di teosofia, propugnate in ambiti nazisti. Curiosamente alcuni di questi siti giungono ad elaborare vere e proprie teorie del complotto, per le quali, ad esempio, il nazismo è il frutto avvelenato della massoneria oppure di una sorta di gnosticismo misteriosofico nato nell'impero turco: si veda il sito http://www.blackraiser.com che compara il massacro turco degli armeni e quello tedesco degli ebrei.  Se volete materiali più pedissequi, ma anche più veridici, vi conviene passare per il già citato Internet Modern History Sourcebook dell'Università Fordham.
Per il fascismo ci sono meno voli pindarici. La menzionata home page della Società italiana per lo studio della storia contemporanea vi traghetta verso le risorse italiane ed europee, l'History Sourcebook della Fordham verso quelle americane. Tra queste ultime, vale la pena di menzionare la mostra virtuale Italian Life Under Fascism. Selection from the Fry Collection, curata da John Tedeschi, William F. "Jack" Fry e John Tortorice per l'Università del Wisconsin (http://www.library.wisc.edu/libraries/dpf/Fascism).

4. Resistenza in rete

L'espressione "Resistenza in rete" fa pensare a film quali Matrix (1998) dei fratelli Wachowski o a romanzi come La maschera sul sole (1990) di John Shirley. Nel primo un pugno di uomini si oppongono nel cyberspazio allo strapotere delle macchine, che hanno schiavizzato l'umanità. Nel secondo la Seconda Alleanza, una organizzazione parafascista, va al potere in Francia, Spagna, Italia, Belgio, Austria e Grecia e impone un micidiale programma di epurazione.
Contro di loro si coalizza una composita banda di hacker: liberali, comunisti, socialisti, anarco-sindacalisti, membri del partito capitalista liberal-democratico, apolitici che odiano i fascisti, preti cattolici e ministri protestanti, agenti del Mossad, della Repubblica Democratica Cinese, della Gran Bretagna, della Svezia, degli Stati Uniti, dell'India, dell'Egitto, dei movimenti islamici moderati, della Repubblica Popolare Sudafricana, di Cuba, dell'Islanda, del Messico, del Brasile, del Nicaragua, del Cile, del Canada, dell'Australia, della Nuova Zelanda, della Palestina, della Libia, dell'Algeria, delle Coree e persino del Lussemburgo. Assieme prendono il controllo del Web e proiettano in tutto il mondo e su tutti gli schermi le malefatte dell'Alleanza, che viene infine abbattuta dall'insurrezione delle popolazioni prima sotto il suo controllo.
Un bello scenario e per alcuni versi pure veritiero, visto che l'Alleanza ha un programma politico assai vicino a quello di organizzazioni realmente esistenti. In questo e-book abbiamo, però, mire e capacità meno fantasmagoriche di quelle di Shirley e ci limitiamo quindi a rievocare la lotta in Italia contro il nazifascismo, cui alla fine del 2000 l'Istituto Nazionale per la storia del Movimento di Liberazione in Italia ha dedicato un Atlante storico, curato da Luca Baldissara e pubblicato dalla Bruno Mondadori. Il suddetto Atlante illustra, grazie a carte molto accurate e ad un'oculata scelta di foto e di testi, come si è svolta la campagna d'Italia e come parallelamente si è sviluppata l'azione partigiana. Sono ricostruite la vita quotidiana delle formazioni locali e i quadri regionali dello scontro contro i tedeschi. Testi e immagini sono di prima scelta e fanno venire in mente quanto sarebbero utili appositi strumenti in rete, che potenziassero questo tipo di ricerche.
Purtroppo i risultati di una rapida ricerca informatica non sono esaltanti. Si trovano soprattutto gli indirizzi dei vari Istituti per la Storia della Resistenza e dell'Epoca contemporanea: Biella e Vercelli, provincia di Alessandria, Marca Trevigiana, Bergamo, del Friuli, di Modena. In genere appartengono alla consolidata rete degli Istituti storici della Resistenza, cui si può accedere da http://www.comune.modena.it/storico, e le loro pagine presentano biblioteche, archivi, pubblicazioni, iniziative pubbliche. È comunque  notevole l'attività dell'Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia (http://www.insmli.it), che mette in rete parte dell'archivio storico e della propria attività scientifica, il catalogo della propria biblioteca e l'anagrafe di tutte le bibliothe collegate, inoltre offre un sito per la didattica. Qui si può consultare una sezione su insegnare il Novecento, stimolata dal decreto ministeriale del 4 novembre 1996 e dalla successiva modificazione dei programmi tradizionali (ma sulla questione della didattica, si confrontino anche le pagine della già menzionata Società italiana per lo studio della storia contemporanea  (http://www.iue.it/LIB/SISSCO/). Oltre a un apposito archivio questa sezione permette di leggere contributi su questioni specifiche: la memoria come campo di battaglia; costituzione e identità nazionale nel dibattito storiografico; contemporaneità e trasmissione del sapere storico; storia locale tra ricerca e progetto didattico. Non devono infine essere dimenticati i siti dell'ANPI, nazionale (http://www.anpi.it) e locali. Per esempio l'ANPI di Marassi, a Genova, offre una galleria fotografica dei caduti del quartiere e schedatura (con testi) di canzoni e saggi sulla resistenza (http://web.tiscalinet.it/ilribelle).
Non c'è molto altro da aggiungere. Qualche sito museale: http://www.racine.ra.it/camalanca (Ca' Malanca, museo della 36a Brigata Garibaldi). Qualche manifestazione: il concerto tenuto a Reggio Emilio per festeggiare il 25 aprile 2000 (http://duemilaresistenze.emilia-romagna.org/). La curiosità per la vicenda resistenziale di http://www.a-sinistra.org, che abbina testi  sul movimento di liberazione a rubriche di controinformazione, oppure di http://web.tiscalinet.it/markbernardini/Berluska.htm, che propone di rivitalizzare i valori resistenziali contro il fondatore/padrone di Forza Italia. Merita, però, di essere ricordata la ripubblicazione in rete delle Lettere di condannati a morte della resistenza italiana, a cura di Piero Malvezzi e Giovanni Pirelli (http://digilander.iol.it/rig8). A http://members.xoom.it/divmingo si trova invece la storia della divisione Mingo attiva tra Genova e Alessandria, mentre altri episodi della resistenza ligure e piemontese sono ricostruiti a http://users.iol.it/g.casalino.
La maggior parte dei contributi, come quello sulla divisione Mingo, rifiuta non soltanto il vituperato, ma spesso non meglio definito, "revisionismo", ma anche la retorica della celebrazione. La linea in genere accettata sembra quella esposta da Claudio Pavone e poi ripresa da Gianni Oliva. La Resistenza è così interpretata come guerra patriottica di liberazione, che era al tempo stesso una guerra civile e uno scontro sociale. Inoltre molti sottolineano come si debba strappare la storia del movimento resistenziale a una chiave di lettura strettamente politica, che l'ha consegnata in mano a quei partiti che per decenni se ne sono serviti, piegandola a tutte le loro iniziative. In realtà l'esperienza vissuta è stata molto più complessa come dimostra, proprio a proposito della divisione Mingo, il diario di monsignor Bartolomeo Ferrari, cappellano cattolico di quella formazione, che pure era teoricamente composta da soli comunisti!

5. L'oro dei nazisti

Sulla scia dei processi Papon e Priebke il 1998 è stato ricco di pubblicazioni sulla fuga nazifascista dopo la seconda guerra mondiale. Nella primavera è apparsa negli Oscar Mondadori la ventottesima ristampa di Dossier Odessa (1972), il thriller di Frederick Forsyth sulla rete che avrebbe protetto l'emigrazione nazista verso il Sud America. Nell'autunno Piemme ha presentato Evita Perón e l'oro dei nazisti di Giorgio Cavalleri e Mursia ha tradotto Organizzazione Odessa (1995) di Jorge Camarasa: due reportage (fanta)giornalistici su gerarchi e funzionari nazisti rifugiatisi in Argentina.
La moda non è stata soltanto italiana. In Argentina è stato pubblicato Perón y los Alemanes di Uki Goñi; nel mondo anglosassone Mark Aarons e John Loftus hanno aggiornato, grazie a nuovi documenti americani, Unholy Trinity. The Vatican, the Nazis and the Swiss Banks.
Nei due anni successivi a queste pubblicazioni si sono aggiunti numerosissimi articoli su quotidiani e settimanali. Gli autori hanno vagliato ogni tipo d'illazione sulle protezioni (vaticane, inglesi, francesi, americane e russe) ai nazisti in fuga, nonché sull'entità del tesoro che essi si sarebbero portati dietro. In quasi tutti libri  o gli articoli appena citati i fatti, o meglio quanto appare nei documenti d'archivio o nei ritagli di giornali d'epoca, sono miscelati con la peggiore fantapolitica: banchieri svizzeri e spie russe, funzionari americani e baronetti inglesi si danno da fare assieme a Pio XII e al cardinal Montini (il futuro Paolo VI) per strappare oro e informazioni ai nazisti tedeschi e agli ustascia croati in cambio di passaporti. Il marchingegno narrativo è patetico (con l'eccezione, ovviamente, di Forsyth), ma il problema trattato è reale. Centinaia di migliaia di profughi tedeschi, austriaci, altoatesini, croati, ucraini e fiamminghi sono veramente transitati per l'Italia alla volta del Sud e del Nord America (nonché dell'Australia, della Nuova Zelanda, del Sud Africa e persino della Spagna e dell'Inghilterra).
Tra di essi vi erano decine di criminali di guerra e la maggior parte degli altri aveva comunque combattuto nelle armate naziste. Per molte ragioni, legate alla nascente guerra fredda, quegli esuli hanno goduto delle attenzioni americane, inglesi, russe ed americane. Inoltre i loro movimenti sono stati accompagnati dallo spostamento di ingenti ricchezze, depredate durante la guerra o sottratte agli ebrei, zingari, omosessuali e antinazisti rinchiusi nei campi di concentramento. Infine la presenza nelle Americhe di quei fuggiaschi ha creato non pochi problemi e gli strascichi giudiziari della vicenda non sono ancora terminati (Discriminación y racismo en América Latina, a cura di Ignacio Klich e Mario Rapoport, Buenos Aires, Grupo Editor Latinoamericano, 1997, offre numerose informazioni al proposito). Insomma è una storia ancora da scrivere, che non andrebbe sprecata per confezionare saggi scandalistici.
Oggi alcuni siti informatici permettono di mettere ordine nella giungla d'informazioni relative alla fuga e al tesoro dei nazisti e dei loro alleati. Sull'"Oro dei nazisti" è, per esempio, disponibile il cosiddetto rapporto Eizenstat. Digitando http://www.state.gov/www/regions/eur/ ci si trova davanti a un vero e proprio volume in formato HTML, che raccoglie le conclusioni della commissione, presieduta dall'omonimo sottosegretario di stato americano, per lo studio delle ricchezze rubate dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale. Il rapporto consta di 6 capitoli e 2 appendici, oltre a un apparato critico (introduzione, note, glossari, cartine e diagrammi) di tutto rispetto. I primi cinque capitoli trattano dei rapporti, diretti e indiretti, fra la Germania e, rispettivamente, l'Argentina, il Portogallo, la Spagna, la Svezia e la Turchia e della possibilità che per quelle nazioni sia transitato il bottino tedesco. Il sesto è dedicato al tesoro degli ustascia. La prima appendice cataloga le informazioni relative alle vittime delle ruberie naziste e la seconda ricostruisce i lavori preliminari della commissione. Infine una nota spiega come i documenti d'archivio relativi possano essere visionati digitando http://www.ushmm.org/assets/nazigold.htm.
Il capitolo sugli ustascia è il più noto, essendo stato riassunto da alcuni quotidiani italiani e da un buon libro divulgativo (Giovanni Maria Pace, La via dei demoni. La fuga in Sudamerica dei criminali nazisti: segreti, complicità, silenzi, Milano, Sperling & Kupfer, 2000). Il testo completo è comunque più complesso di quanto anticipato e sottolinea la conoscenza vaticana ed americana dei massacri e delle spoliazioni perpetrate dai croati. Segue inoltre lo spostamento di oltre 1.300 chili d'oro in Svizzera (dove pare che siano rimasti bloccati alla fine della guerra), di altri 500 chili attraverso l'Austria e infine dichiara fondata la possibilità che parte di questa ricchezza sia confluita a Roma con altro bottino portato direttamente dalla Crozia. In seguito una buona percentuale dei capitali transitati in Italia furono trasferiti in Argentina, dove fuggì Ante Pavelic, il duce croato. Alcuni paragrafi sono dedicati al ruolo dei religiosi croati a Roma, nonché alla possibilità che il Vaticano nasconda ancora gli archivi ustascia, che, a detta degli estensori del rapporto, sarebbero stati inviati a Roma dall'arcivescovo Alojz Stepinac, recentemente beatificato.
Complessivamente il rapporto Eizenstat è ricco di notizie e illumina molti aspetti del problema in questione. Bisogna, però, tener conto che la sua redazione è stata affidata a funzionari dei servizi segreti americani e quindi non segue criteri strettamente storici.
L'attenzione per la presenza nazista nelle Americhe si lega alla curiosità per i tesori depredati dai tedeschi e a quella per le responsabilità americane e vaticane. Perciò molti autori hanno sollevato un gran polverone, mentre gli interventi ponderati sono confinati sulle riviste scientifiche (per es. Michael Phayer, Pope Pius XII, the Holocaust, and the Cold War, "Holocaust and Genocide Studies", 1998; Immigrantes, refugiados y criminales de guerra en la Argentina de la segunda posguerra, a cura di Ignacio Klich, "Estudios Migratorios Latinoamericanos, 43, 1999) o in alcuni volumi di successo tra gli storici, ma non molto noti al grande pubblico (Giovanni Miccoli, I dilemmi e i silenzi di Pio XII. Vaticano, Seconda guerra mondiale e Shoah, Milano, Rizzoli, 2000). Nella rete si trovano invece resoconti rigorosi, come i lavori della Comisión para el esclarecimiento de las actividades del Nazismo en la Republica Argentina (CEANA). Tale commissione è stata fondata dal governo argentino nel 1997 per determinare quanti criminali di guerra e quanta parte del bottino nazista siano entrati in Argentina. Mira inoltre a fare chiarezza sul ruolo del governo peronista nell'ospitare criminali di guerra e s'interessa alle vie percorse dai fuggiaschi. Il suo sito (http://www.ceana.org.ar/) si apre con una sezione dedicata alla creazione della commissione stessa: vi sono alcuni comunicati stampa, un intervento dell'ambasciatore Rogelio Pfirter alla conferenza londinese sull'oro rubato dai nazisti (2-4 dicembre 1997) e una dichiarazione d'Ignacio Klich, coordinatore scientifico della CEANA e docente all'Università di Westminster.
La seconda sezione presenta i componenti della commissione ed evidenzia l'apporto della Banca centrale argentina, dell'Asociación Mutual Israelita Argentina, della Delegación de Asociaciones Israelitas Argentinas (DAIA), del B'nai B'rit argentino, del Centro Wiesenthal di Los Angeles, dell'American Jewish Committee e dell'Anti-Defamation League of B'nai B'rith di New York, infine della rivista "Todo es historia" di Buenos Aires. La terza sezione riassume il lavoro delle unità investigative. Per ora offre soltanto due rapporti parziali sulle ricerche compiute, ma annuncia la presentazione di una relazione conclusiva. Per consultare i rapporti basta cliccare sul link che affianca i nomi dei ricercatori e specificare se si vuole la versione spagnola o quella inglese.
Il primo rapporto comprende dieci ricerche: quantificazione dei criminali di guerra secondo fonti austro-tedesche; quantificazione degli stessi secondo fonti argentine; Italia come paese di transito; Spagna come paese di transito; attività clandestine della Marina tedesca in acque argentine; nazisti o collaborazionisti che hanno trovato impiego nell'esercito argentino; transazioni della Banca centrale argentina con paesi dell'Asse o neutrali; investimenti nazisti in Argentina; nostalgici del "Nuovo Ordine" europeo e loro impatto sulla società argentina; inventario dei materiali d'archivio argentini utilizzati dalla Commissione d'inchiesta. Nel secondo rapporto i gruppi di ricerca sono aumentati. Vi sono infatti nuovi lavori su: fonti belgo-francesi; uffici e agenzie governative che supervisionarono l'immigrazione dall'Europa centro-orientale; ufficiali e tecnici nazisti assunti dall'Aereonautica e dalla Dirección General de Fabricaciones Militares argentine; estradizione di criminali nazisti; circolazione argentina di opere d'arte requisite dai nazisti; reazioni argentine alla caduta del III Reich; ruolo dei paesi neutrali durante la seconda guerra mondiale; impatto della figura dei nazisti nella cultura argentina.
Altre notizie sulle ricerche argentine si trovano sui siti di alcuni giornali (per es. http://www.pagina12.com/) o di alcune associazioni. La già menzionata DAIA ha preparato un cd-Rom  (Archivo Testimonio) e un sito (http://www.virtualg.com/testimonio) che riproducono o schedano materiali d'archivio sull'Argentina e il nazifascismo negli anni 1930-1960. Grazie ad essi si possono incrociare documenti o articoli di giornale e nomi identificati dai ricercatori della CEANA.
Sempre sulla rete è possibile accedere agli archivi del F.B.I (http://www.fbi.gov/fopia/hisfigs.htm): contengono le copie (censurate) di una settantina di rapporti sulle attività di Klaus Barbie e di centinaia di documenti su Adolf Hitler. Una parte di questi ultimi contiene denunce sulla sua possibile fuga negli Stati Uniti. Alcune lettere al proposito sono spassose, come quella (diffusa da un circolo universitario di Chicago) che Josef McCarthy (il senatore della caccia ai comunisti) avrebbe scritto nel 1955 al "carissimo Adolf". Infine all'indirizzo http://www.fringeware.com/-hambone è possibile trovare una bibliografia sulla fuga di nazisti (http://www.fringeware.com/~hambone/guide/pol/postnazi.html) e due scritti che denunciano la ripresa del nazismo dopo la guerra (http://www.fringeware.com/~hambone/arch/ dance.html e http://www.fringeware.com/~hambone/arch/postwar.html). Questa volta, però, il taglio è decisamente giornalistico.

6. Guerre di fine millennio

In questi ultimi anni è stato detto tutto e il contrario di tutto sulla fantomaticità delle crisi di fine millennio e sull’inevitabile irrrealtà di ogni tendenza millenaristica, tuttavia le recenti vicende belliche hanno risvegliato e risvegliano paure da tempo sopite. La guerra ci ha toccato da vicino e ha fatto intravedere che danze macabre si stiano già ballando e quali altre ci attendono nel prossimo futuro. In questa situazione alcuni cd-rom ci offrono allo stesso tempo un antidoto e un depressivo, nel senso che invitano a riflettere e assieme stimolano le nostre peggiori paure.
Giovanna Gagliardo ha curato nel 1997 un vero museo di questi orrori. Alle porte del terzo millennio. Apocalisse, Giudizio Universale, Danza Macabra nelle immagini dell’arte (ASH Multimedia di Vicenza, ashmm@netics.it) permette di entrare in un fantastico ambiente virtuale che colleziona e spiega tutti i dipinti di cui al sottotitolo. Il cd-rom  si apre infatti su tre porte che danno rispettivamente su di una Biblioteca di testi, un Museo di quadri e una serie di itinerari che permettono di localizzare le opere d’arte della quadreria. La Biblioteca è un po’ miserella, sia pure raccogliendo autori antichi e recenti, narrativa e saggistica, ma il museo è ben organizzato, pur dando molto spazio soprattutto alle ben note opere di Hyeronimus Bosch. Gli itinerari sono poi sfiziosi e funzionali: non soltanto è possibile localizzare le opere geograficamente e cronologicamente, ma anche per autore, per tema e soprattutto per tecnica. Inoltre è semplice ricorrere a sussidi che illustrano i termini difficili e permettono di prendere appunti o di salvare immagini e testi per le proprie ricerche. Insomma questa è un’opera allo stesso tempo di notevole utilità e piacevole a vedersi, grazie anche a qualche divertente trucchetto in stile videogioco: così in alcune anticamere si deve scoprire dove cliccare (su un libro per esempio o su un barattolo di pennelli e penne d’oca) per avere spiegazioni e proseguire la ricerca. Merita tra l’altro più di un passaggio (lettura, se vogliamo un termine più antiquato) per scoprirne tutta la validità, anche se a prima vista si nota già l’estrema scorrevolezza e la facilità con il quale il programma si mette in moto.
Molte catastrofi dipinte o romanzate sono legate alla guerra e allo sviluppo vorticoso della sua arte e della sua tecnologia. Donatella Barazzetti e Antonello Branca confermano questo pensiero grazie alla loro micidiale (anche perché ci vuole un po’ per farla partire) confezione di 3 cd (per Window 95 e Mac 7.0 o superiori) su Guerra e tecnologia. Dalla Rivoluzione Americana alla Guerra del Golfo (New Media Mondadori 1998). I tre dischi, ma si potrebbe parlare di volumi visto che sono fruibili anche linearmente, capitolo dopo capitolo, sono dedicati a tre distinti periodi storici. Il primo copre lo sviluppo Dal fucile all’automobile: le origini della prodozione di massa. 1776-1920. Il secondo esplora L’alba della guerra atomica. 1939-1950. Il terzo studia Gli anni della Guerra Fredda. 1950-1991, andando oltre la Caduta del Muro di Berlino e includendo la guerra USA-Iraq tra gli strascichi anomali della guerra fredda.
Gli autori raccontano che per quattro anni hanno studiato in archivi, biblioteche, emeroteche e filmoteche statunitensi tutto quello che riguardava le relazioni tra sviluppo delle strutture militari e innovazione tecnologica, con particolare attenzione alle attività che hanno permesso alle forze armate di differenti paesi, ma soprattutto degli Stati Uniti, di incidere direttamente o indirettamente sui processi di industrializzazione moderni: il famoso complesso industrial-militare che uno studioso come Immanuel Wallerstein accusa di provocare periodicamente guerre (Vietnam, Grenada, Iraq, Serbia, ecc.) per disfarsi del sovrappiù produttivo e sperimentare innovazioni provate soltanto in laboratorio.
Questo cd-rom è quindi in linea con quanto molti hanno scritto. Per l’Italia vengono in mente i lavori pionieristici di Raimondo Luraghi (dal classico Storia della guerra civile americana, riedito dalla Rizzoli, a Marinai del Sud. Storia della marina confederata nella guerra civile americana 1861-1865, apparso per la stessa casa editrice nel 1993) e della sua scuola, in particolare Oliviero Bergamini, Un esercito per la nazione. Elihu Root e la nascita del moderno sistema militare negli Stati Uniti (Milano, Marcos y Marcos, 1996) e i contributi in Le stelle e le strisce. Studi americani e militari in onore di Raimondo Luraghi (Milano, Bompiani, 1998) diretto da Valeria Gennaro Lerda. Tuttavia se ne distacca e non soltanto per il supporto informatico, quanto per l’attenzione alle immagini cinematografiche (circa due ore di filmati) e al repertorio di ben 90 interviste.
Barazzetti e Branca hanno infatti iniziato la loro ricerca nell'ambito di un progetto televisivo sulla storia sociale della tecnologia con uno special Guerra e Tecnologia, coprodotto dalla SSR/RTSI Radiotelevisione della Svizzera Italiana e dalla Moby Dick Movies. Il progetto ha avuto sin dall'inizio una duplice finalità. In primo luogo riaffrontare con un supporto visuale dinamico un soggetto molto indagato nei suoi caratteri e nelle sue dinamiche, ma in libri e articoli destinati quasi soltanto a un pubblico di specialisti. In secondo luogo valutare l’efficacia educativa di utilizzare strumenti di comunicazione diversi. La seconda finalità era quindi quella di creare programmi interattivi, fondati sull'uso contemporaneo di media diversi - immagini, testi scritti, suoni - e sul supporto di cd-rom.
L’opera di ricerca è impressionante e ha coinvolto, oltre a numerosissimi studiosi: la Biblioteca del Congresso e i National Archives a Washington, nonché sempre nella stessa città il Center for Democratic Information, il World Watch Institute, lo Smithsonian Institution e il National and Audio Visual Center; l’Hagley Museum ed annessa biblioteca a Wilmington; il Massachusetts Institut of Technology; l’Università di Harvard ; l’Educational Foundation for Nuclear Science di Chicago; la Public Library e l’Archivio del Cinema di New York. Ma anche la restituzione informatica è di qualità. Questo lavoro si segnala quindi come uno dei più interessanti e cerca al contempo di aprire un discorso con il suo lettore, cui gli autori chiedono di inviare critiche, suggerimenti e consigli all'indirizzo del sito "Novecento il secolo delle guerre" (http:\\900.mobydick.it).

Parte IV

Tagli diacronici

Sin ora abbiamo indicato siti ripartiti secondo un ordine cronologico, ma bisogna calcolare che molti hanno un taglio diacronico e infrangono quindi i confini tra le varie epoche. Prendiamo per esempi il caso delle guerre e quello delle culture extraeuropee, nonché quello, paradossale, della storia appresa mediante i viaggi o resa attraverso i fumetti. In ciascuno di questi casi è facile navigare in pagine che coprono tutti i periodi della storia, dall'antichità ai giorni nostri.Un elemento da non trascurare è inoltre quello delle ricerche agiografiche: lo studio della santità attraversa infatti le barriere temporali fra medioevo e contemporaneità e quelle geografiche tra i diversi continenti.

1. Guerre sul Web

Nel corso degli anni 1990-2000 gli studi sulle guerre e sulla cultura di guerra sono stati particolarmente numerosi. Sarebbe troppo lungo elencarli tutti, mi limito quindi a segnalare due importantissimi studi sugli Stati Uniti pubblicati dalla Marcos y Marcos: Vietnam e ritorno, a cura di Stefano Rosso e Stefano Ghislotti (1996), e Le parole e le armi. Saggi su guerra e violenza nella cultura e letteratura degli Stati Uniti d'America, a cura di Giorgio Mariani (1999).
A cavallo tra i due secoli la produzione sulle guerre è ulteriormente aumentata. Sul versante della divulgazione storica, la Giunti di Firenze ha sfornato una serie di volumi sui principali conflitti del Novecento. Basti ricordare la Storia illustrata della prima guerra mondiale e la Storia illustrata della seconda guerra mondiale, che accompagnano la narrazione degli avvenimenti con schede di approfondimento e centinaia d'immagini e di carte, nonché i volumi della collana "XX Secolo": La Grande Guerra di Mario Isnenghi, Caporetto di Nicola Labanca, La seconda guerra mondiale di Marc Ferro, La battaglia di Stalingrado di Maria Ferretti, I conflitti del Medio Oriente di Françoise Massoulié e La questione jugoslava di Stefano Bianchini.
Sul versante degli studi accademici è invece da segnalare l'attenzione per l'età moderna, soprattutto per le guerre mosse dalla Spagna e per la lotta contro il Turco. Quest'ultimo tema è stato sviscerato in alcuni volumi nati da progetti CNR - in particolare I Turchi, il Mediterraneo e l'Europa, a cura di Giovanna Motta (Franco Angeli 1998), e L'Europa centro-orientale e il pericolo turco tra Sei e Settecento, a cura di Gaetano Platania (Sette Città 2000) - nonché nello studio di quest'ultimo Rzeczpospolita, Europa e Santa Sede tra intese ed ostilità. Saggi sulla Polonia nel Seicento (Sette Città 2000), che ricostruisce il ruolo polacco di bastione della cristianità, sfruttando le fonti archivistiche vaticane.
Il tema delle guerre spagnole è approfondito, oltre che da numerosi contributi ai convegni e libri originati dal cinquecentenario della morte di Filippo II e della nascita di Carlo V, da due opere assai recenti: La Espada y la Pluma. Il mondo militare nella Lombardia spagnola cinquecentesca. Atti del Convegno internazionale di Pavia (Mauro Baroni Editore 2000) e I nemici del re. Il racconto della guerra nella Spagna di Filippo II di Raffaele Puddu (Carocci 2000). Entrambe danno spazio non soltanto all'analisi militare ed economica, ma anche, se non soprattutto, all'importanza della guerra nei domini spagnoli della seconda metà del Cinquecento, fossero questi nella penisola italiana o nel Nuovo Mondo.
Anche sul Web sono enormemente aumentati i siti che studiano la guerra e la cultura bellica. Molti sono specializzati, cioè dedicati a singoli conflitti, e nelle varie puntate di questa rubrica ne abbiamo già parlato. Recentemente ho trovato invece un vortal, un portale verticale che fornisce i link per accedere ad informazioni su un unico argomento, che aspira a catalogare tutti i conflitti e che merita di essere citato, anche perché non è soltanto un portale sulla guerra, ma è in primo luogo un portale militare. Si tratta infatti di Military History fondato dall'Information Resource Centre del Canadian Forces College all'indirizzo http://www.cfcsc.dnd.ca/links/milhist/. All'interno di questo portale i siti di storia militare sono divisi per periodi (antico, medievale, 1500-1700, 1700-1900, Ventesimo secolo) e per soggetti (storia militare generale, storia dell'aviazione, storia della tecnologia militare e delle armi, biografie di uomini d'arme e di diplomatici, musei e istituti militari, storia navale). Il lavoro è ancora in progress soprattutto per la parte antica e medievale. Per quanto riguarda la prima sono infatti per ora analizzate soltanto le risorse telematiche relative alla guerra del Peloponneso (431-404 a.C.) e alle guerre puniche. Per il medioevo sono invece presentate solamente quelle concernenti la conquista normanna dell'Inghilterra (1066) e la guerra dei Cento anni (1339-1453).
Anche per il periodo dal 1500 al 1700 il materiale è poco: sono infatti suggeriti soltanto link sul fallimento dell'Invincibile Armata spagnola (1588) e la guerra civile inglese (1642-1649). Le informazioni sul Settecento sono di poco più abbondanti: possiamo raggiungere i siti sulla guerra dei Sette anni (1755-1763), la Rivoluzione americana (1775-1783) e la Rivoluzione francese (1789-1799). La situazione migliora decisamente per l'Ottocento: qui abbiamo a disposizione informazioni e indirizzi su guerre napoleoniche (1800-1815), guerre del 1812-1814 fra Gran Bretagna e Stati Uniti e del 1846-1848 tra questi ultimi e il Messico, Crimea (1853-1856), guerra civile americana (1861-1865), guerre boere (1880-1881, 1899-1902) e infine conflitto fra Spagna e Stati Uniti nel 1898. Il quadro offerto per il Novecento è poi vastissimo. Si parte con la guerra nelle Filippine tra gli Stati Uniti e la Spagna (1899-1902), la Rivoluzione messicana (1910-1920) la Grande guerra del 1914-1918 e la Rivoluzione russa (1917-1921). Si prosegue con la guerra in Etiopia del 1935-1936, la guerra civile spagnola del 1936-1939 e la seconda guerra mondiale (1939-1945). Si riprende con la guerra di Corea (1950-1953) che apre una lunga stagione di guerre asiatiche: la guerra del Vietnam (1961-1975), quella tra India e Pakistan nel 1971 e infine quella in Afganistan del 1979-1989. Un ulteriore blocco riguarda le guerre nell'America latina: le Falkland (1982) e le invasioni di Grenada (1983) e Panama (1989). Infine è affrontato il Medio Oriente: i conflitti tra Israele e i paesi arabi, quello tra Iran e Iraq (1980-1988) e la guerra del Golfo (1991).
Per scegliere quale guerra approfondire bisogna cliccare sulla mappa cronologica ad apertura di sito. I diversi colori identificano i periodi storici, inoltre sono indicati i nomi delle guerre già disponibili. I siti, ai quali si viene indirizzati, forniscono in genere informazioni archivistiche e bibliografiche sulle guerre dei vari periodi. Alcuni, però, ad esempio quello sulla guerra civile inglese del Seicento (http://www.lukehistory.com/resources/index.html), raccolgono la trascrizione di materiale documentario, soprattutto di pamphlet d'epoca. Military History propone anche l'accesso ad altre risorse, ma tale accesso si può rivelare ristretto. Una serie di risorse e banche dati militari sono infatti fruibili soltanto dai membri del College, ma in questo caso la restrizione è specificata nel momento in cui appare il link relativo. Tutti i visitatori possono invece consultare alcune strumenti militari, come l'Air University Library Index to Military Periodicals. In alcuni casi sono disponibili bibliografie specializzate. I docenti del College hanno raccolto libri e articoli sulla storia dell'aviazione. Grazie ad esse possiamo rintracciare tutto quello che è stato scritto per la battaglia nei cieli d'Inghilterra (1940), l'operazione Barbarossa (1941), i bombardamenti sulla Germania del 1943-1945, l'intervento aereo a Berlino nel 1948-1949, la guerra di Yom Kippur nel 1973 e persino la campagna aerea nei Balcani del 1999. Insomma il vortal del Canadian Forces College garantisce un buon inizio per qualsiasi ricerca di storia militare.

2. Giochi e culture

La Si.Lab Edizioni Multimediali (www.silab.it) ha un nutrito catalogo su cd-rom: atlanti storici interattivi (Viaggio nella storia), una storia della World-music (Algeria. La musica dalla tradizione al Raï; Marocco. Suoni da una terra antica; Africa. Atlante della musica tradizionale), una storia degli antichi giochi. Anche in quest’ultimo settore l’attenzione è volta soprattutto alle tradizioni africane. In particolare sono già usciti due cd-rom dedicati rispettivamente all’Alquerque, un gioco militare di origini egizie, in seguito diffusosi nell’ecumene araba, e al Warri, gioco africano conosciuto anche dagli antichi egiziani ed ispirato al meccanismo della semina e del raccolto.
Il cd sul Warri ricostruisce la storia del gioco, la sua diffusione panafricana, le sue regole e permette anche di provarsi contro il computer o contro un altro giocatore. Soprattutto sottolinea come l’anima del gioco non sia la vittoria pura e semplice, tanto che in Africa i giocatori più esperti possono barare per non far fare una brutta figura agli avversari meno abili. Costituisce quindi un ottimo esempio della diversità delle culture persino al livello del semplice gioco e conferma quanto sarebbe produttivo integrare alla nostra psicologia, troppo spesso performativa, gli ideali di altre civiltà.
E’ questo un tema che sta al centro di due importantissimi  tradotti anche in italiano: Coltivare l’umanità di Martha C. Nussbaum (Roma, Carocci, 1999) e La cittadinanza multiculturale di Will Kymlicka (Bologna, Il Mulino, 1999). Gli autori in questione sono due dei maggiori filosofi oggi su piazza: la prima insegna etica e diritto a Chicago e ha già visto pubblicare in Italia due importanti volumi su La fragilità del bene (Bologna, Il Mulino, 1996) e Il giudizio del poeta (Milano, Feltrinelli, 1997) ; il secondo dirige la ricerca del Canadian Centre for Philosophy and Public Policy dell’Università di Ottawa ed è noto al pubblico italiano per la traduzione della sua Introduzione alla filosofia politica contemporanea (Feltrinelli 1996). Entrambi sono convinti che la nostra società e le nostre università facciano ben poco per permetterci d’incontrare gli altri e che in questo modo tradiscano la nostra stessa tradizione. Nussbaum in particolare ci ricorda come la comprensione dei bisogni e delle capacità altrui sia alla base dell’insegnamento socratico. Kymlicka ci invita a riflettere sui prezzi che presto dovremmo pagare per il disprezzo, lo sfruttamento e l’emarginazione delle minoranze.
Ora i suggerimenti dei nostri due filosofi si scontrano spesso con la nostra assoluta ignoranza delle altre civiltà, passate e contemporanee. Proprio per ovviare a questa mancanza di conoscenza il Texas Education Network (www.tenet.edu) ha organizzato una Hall of Multiculturalism virtuale. Quest'importantissimo snodo (www.tenet.edu/academia/ulti.html) offre accesso alle principali risorse su sei distinti argomenti: culture africane e afro-americane; culture asiatiche e asiatico-americane; ricerche interculturali; popolazioni indigene; popolazioni ispaniche nel Nord America; indiani d’America.
Dal primo blocco si entra in numerose pagine sui neri americani e in qualche interessante link sulle culture africane; col secondo si passa dallo sviluppo delle comunità asiatiche negli Stati Uniti allo studio degli stereotipi anti-asiatici e a siti sorprendenti quali quello che studia gli elefanti di Sri Lanka. Il quarto (culture indigene) non affronta tanto gli indiani d’America, cui è dedicato il sesto blocco, quanto gli aborigeni australiani: inoltre include un indirizzo sulla Francia (Interactive French Language Page) ricco di notazioni su cultura, arte e cucina dell’Esagono, che ci mostra come l’essere definiti indigeni dipenda soltanto ed esclusivamente dai punti di vista. Il quinto esplora le caratteristiche dell’ispanicità nordamericana e allega informazioni sui Maya e gli Aztechi. Il sesto è indubbiamente il più ricco; d’altra parte le risorse in rete sugli indiani sono così numerose che è offerto un link, l’Index of Native American Resources on the Internet, dove sono catalogate venti tipologie di indirizzi diversi. E si consideri che ci sono altri indirizzari sempre per gli stessi argomenti: Internet Access to Native American Information; Native American Indian Resources; Native American Pages; Native CyberTrade-Native American Resources; Native Web.
Il terzo gruppo (ricerche interculturali) è quello più interessante per il tema affrontato in queste pagine. Da un lato cataloga i link legati alla "Diversity", qui attribuita a cause fisiche (disabilità), all’essere emigrati, alla discriminazione di genere, al razzismo e all’antisemitismo. Dall’altro propone di studiare nell’ambito delle culture diverse anche quelle antiche. Scheda quindi i link per chi voglia affrontare le culture antiche del Medio Oriente, dell’India, dell’Egitto, della Cina, della Grecia, di Roma, del primo Islam e persino dell’Europa medievale. Il che conferma quantomeno la distanza dell’odierno Occidente dalle proprie radici storiche. Di fatto l’estraneità non riguarda soltanto lo spazio (le culture geograficamente lontane), ma anche il tempo (le culture del passato), come ha più volte suggerito Sergio Bertelli: da ultimo nell’introduzione a Velocità storiche. Miti di fondazione e percezione del tempo nella cultura e nella politica del mondo contemporaneo, da lui curato (Roma, Carocci, 1999). Anche in questo campo si riscontrano spunti già enucleati da Kymlicka e Nussbaum. In particolare se tramite la Hall of Multiculturalism si accede ad Exploring Ancient World Cultures dell’Università di Evansville (http://eawc.evansville.edu/index.htm) ci si imbatte nel saggio di Bill Hemminger, "Why Study Ancient World Cultures ?", nel quale torna più volte il richiamo all’insegnamento socratico e l’avvertimento della difficoltà (ma anche della ricchezza) di comprendere bene una cultura altra. Al proposito è particolarmente interessante come nello stesso sito (eawc.evansville.edu/ropage.htm) gli antichi Romani siano esaltati per la capacità di assorbire e diffondere la cultura di altri popoli.
La fortuna della tradizione romana in Nord America è da tempo argomento di studio, basti qui menzionare i saggi raccolti in La virtù e la libertà. Ideali e civiltà italiana nella formazione degli Stati Uniti (Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli 1995). Tuttavia è anche istruttivo notare come dal sito dell’Università di Evansville si possa scivolare tramite link eterogenei sui più disparati argomenti di storia e archeologia romana: Augustus: Images of Power; An Online Encyclopedia of Roman Emperors; il palazzo di Diocleziano a Spalato; il Foro Romano; The Gnosis Archives; The Pompeii Forum Project; Roman Art and Architecture; Roman Portrait from Egypt; Romarch (è un crossroads come The Hall of Multiculturalism e permette l’accesso a infinite risorse su arte e archeologia nelle province romane); vita delle donne a Roma; e persino Roman Recipes (tratte da Marcus Gavius Apicius).

3. Il viaggio e l'Egitto

Una sezione del catalogo Carocci, quella dell’antropologia dei viaggi e dei viaggiatori, si rivela un ottimo ponte per un sito meraviglioso. La cultura del viaggio è al centro del recente volume di Sandra Puccini su Viaggi ed etnografia nel secondo Ottocento, nel quale l’autrice analizza come i viaggiatori italiani dell’epoca abbiano saputo raccontare le loro esperienze e rendere conto della differenza antropologica delle popolazioni visitate. Ovviamente l’argomento è caldo e presenta la possibilità d’infinite variazioni. La Viella, un’altra casa editrice romana, giovane e dinamica, ha per esempio sfornato uno dopo l’altro Viaggio a Samarcanda 1403-1406 di Ruy González, a cura di Paola Boccardi Storoni, divertente resoconto delle imprese di un diplomatico spagnolo alla ricerca di un abboccamento con il grande Tamerlano, e Altrove. Viaggi di donne dall’antichità al Novecento, a cura di Dinora Corsi, che pone il problema della specificità femminile nel viaggiare.
Tutti i libri appena citati sono ricchi e interessanti. Soffrono, però, della mancanza di opportuni sussidi iconografici. D’altra parte questi ultimi farebbero lievitare il costo e quindi il prezzo di copertina e metterebbero questa produzione fuori della portata del compratore comune. La creazione di un sito Web permette invece di aggirare il problema dei costi e di diffondere con estrema facilità immagini, corredate da notizie sui viaggiatori. A questo mezzo è quindi ricorso un gruppo di appassionati dei viaggi in Egitto, che sotto la direzione di Giorgio Agnese, Maurizio Re e Marco Muroccolo prima ha organizzato a Conzano, in provincia di Alessandria, una mostra fotografica su Carlo Vidua e i viaggiatori del 1800 in Egitto (settembre-ottobre 1999: ma in seguito l’esibizione è stata presentata in diversi centri del Piemonte) poi ha organizzato i materiali esposti all’indirizzo http://www.doit.it/Egypt/. La mostra e il sito raccolgono soprattutto foto di scritte e di nomi di viaggiatori incisi sui monumenti egiziani. Come ricorda Maurizio Re questa singolare collezione fu da lui iniziata nel 1987, quando fu colpito dal numero di graffiti sul Ramesseum e fra le altre firme trovò quella del piemontese Vidua, una dei più famosi viaggiatori italiani della prima metà dell’Ottocento.
Messo in moto dalla curiosità per la biografia di quel viaggiatore d’eccezione e di altri suoi contemporanei, che si erano dedicati a incidere il proprio nome su illustri testimonianze del passato, Re prese contatto con altri appassionati, ricorrendo anche alla rete. Da quegli incontri è nata una ricerca sul viaggio in Egitto nel primo Ottocento, corredata dalla riproduzione di piante, schizzi e materiali d’epoca, in genere virati sul seppia e resi con molta eleganza. In una sezione del nostro sito è presentata una carta del Nilo sovrastata da una finestra, nella quale scorrono i nomi di oltre trecento viaggiatori con l’anno della loro presenza in Egitto nel periodo compreso fra il 1799 e il 1840. La suddetta carta riporta nel suo interno anche i nomi di una quindicina di viaggiatori, più una scritta che menziona la spedizione napoleonica sotto le piramidi.
Se il visitatore clicca su quest’ultima o sui conomi gli si aprono nuove pagine con i dati biografici e storici relativi ai viaggi in questione, nonché altre foto: la scheda di Vidua è quasi un piccolo saggio, mentre per altri le informazioni sono più scarne. Giovanni Belzoni, il primo archeologo moderno a entrare nella tomba di Seti I e nella piramide di Chefren, si merita così appena una paginetta.
Della mostra esiste anche un catalogo, edito dalla Whitestar di Vercelli, specializzata in viaggi in Egitto: ha, per esempio, pubblicato La scoperta dell’Antico Egitto, a cura di Alberto Siliotti, che classifica le grandi ricognizioni delle antichità egiziane dai tempi dei Greci a oggi, ed Egitto, ieri e oggi, a cura di Fabio Bourbon, una raccolta delle litografie di David Roberts, paesaggista scozzese recatosi sotto le piramidi un secolo e mezzo fa.

4. I santi

La gloriosa collana "sacro/santo" ha ripreso a pubblicare per i tipi della Viella di Roma. Per ora sono apparsi tre volumi: Miracoli. Dai segni alla storia, a cura di Sofia Boesch Gajano e Marilena Modica; Messia nero di Valerio Petrarca; L'arcangelo, il contadino e il re di Philippe Boutry e Jacques Nassif. Il primo raccoglie dieci saggi che spaziano dai miracoli narrati nell'Antico Testamento e dalla mitologia greca a una guarigione miracolosa nella Spagna post-franchista. Il secondo analizza l'opera e le profezie di Koudou-Gbahié nella Costa d'Avorio di fine Novecento. Il terzo infine è la traduzione dello scambio epistolare tra uno storico (Boutry) e uno psicoanalistia (Nassif) a proposito di un contadino visionario degli inizi dell'Ottocento. Come si vede l'offerta è estremamente varia e il catalogo dei volumi in stampa fa intuir che questa collana avrà una notevole importanza nell'ambito dello studio sui santi e sul sacro. Importanza sottolineata anche dalla assai nutrita direzione: Sofia Boesch Gajano, Philippe Boutry, Simon Ditchfield, Roberto Rusconi, Edith Saurer e Francesco Scorza Barcellona.
Dato il tema cibernetico di questo nostro e-book non possiamo dilungarci sui meriti dei singoli volumi, basti dire che quelli già apparsi sono di grande interesse. Prendiamo invece spunto da essi per chiederci cosa si possa trovare sul Web americano in merito ai santi. Tanto più che sullo stesso argomento la Bruno Mondadori ha tradotto il Dizionario dei santi. Storia, letteratura, arte e musica curato da Louis Goosen, un fondamentale e assieme maneggevole repertorio uscito in Olanda qualche anno fa.
La ricerca è a prima vista difficile anche perché gli indirizzi più facili a scovare e soprattutto più invadenti sono quelli delle squadre di football (All Saints e simili) e della chiesa mormone, il cui nome per esteso recita, come è noto, "Chiesa di Gesù per i Santi degli Ultimi Giorni". Con un po' di pazienza si possono, però, consultare alcuni siti cattolici, che si offrono da ponte per successive ricerche.
Catholic.org offre per esempio un servizio online con una sezione sui santi e sugli angeli. Da questa si può accedere a un indice dei santi (http://saint.catholic.org/stindex.html) abbastanza ben fornito: stampato frutta sette cartelle a doppia colonna per un po' meno di un migliaio di santi. Da ogni voce si può rimbalzare all'apposita biografia nello stesso sito o in siti apparentati. Si possono poi scovare altre notizie tramite il pulsante Saint Search od usufruire del programma Saint of the Day, che vi informa sul santo (o i santi) del giorno.
Catholic Online fornisce in fondo un servizio abbastanza leggero, simile a quello di certi almanacchi di una volta o al famoso Calendario di Frate Indovino. Il contributo del sito Lives of the Saints (http://www.pitt.edu) è invece di maggior peso. Una prima sezione quadripartita scheda le biografie di santi e beati da Aidan di Lindisfarne a Venceslao. Le notizie sono molte, ma date in maniera un po' schematica, soprattutto per i beati che hanno diritto alla classica mezza paginetta. Inoltre la bibliografia di riferimento è scarsina. Una seconda sezione rimanda a una serie di link sugli angeli (in America vanno alla maggiore tra cattolicesimo e new age) e sulla "social justice". Gli indirizzi di giustizia sociale vi mandano ai siti dell'attivismo cattolico, con un forte accento sulle iniziative contro la povertà, ma su quelle "pro Life", cioè antiabortiste. Una sterminata terza sezione cataloga ogni indirizzo relativo alle vite dei santi.
Qui si va dai calendari (quello francescano, quello irlandese) alle liste di varia natura (santi patroni, santi celtici), ma non mancano le fonti per la riflessione storica (The Medieval Sourcebook) e inventari di documenti (archivio francescano, archivi per le biografie di singoli santi). Vi sono anche rimandi a siti su singoli personaggi (Gregorio da Nissa, per esempio) o sulle tradizioni manoscritte. A lato degli indirizzari cattolici vi sono anche quelli relativi alle fonti della Chiesa anglicana e di quella ortodossa.
Una quarta sezione di The Lives of the Saints scheda tutti i siti che riguardano la Chiesa cattolica in particolare e la cristianità in generale. Questa sezione vi proietta quindi nel sito del Vaticano o in quello delle Chiese protestanti. Tra gli accessi consigliati è molto interessante quello alle Internet Theology Resources (http://www.csbsju.edu) che rinvia sia alle aree di ricerca generali ed interdisciplinari (Scritture; Teologia morale; Storia della Chiesa; Studi liturgici; Spiritualità; ecc.), sia a siti più specifici. Si trovano così raggruppati gli indirizzi di biblioteche (specialmente se ricche di opere generali), di altri indirizzari Internet, di associazioni di studiosi, di studi iconologici, di pagine storiche e teologiche locali. In ambito americano si possono per esempio così consultare un sito dedicato alla Bibbia di Jefferson, oppure quello su The Mayflower Compact dedicato alla teologia dei fondatori della colonia di Plymouth.

5. La storia a fumetti

Uno dei più interessanti romanzieri francesi (ma anche saggista e poeta), Michel Houellebecq, ha scritto nel 1998 una agghiacciante previsione sulla scomparsa dell'uomo, quale noi oggi conosciamo: Les particules élémentaires (tr. it. Le particelle elementari, Milano, Bompiani, 2000). Le tragiche esperienze di due fratellastri, impossibilitati a vivere un'esistenza felice a causa della biografia familiare, spingono l'unico tra i due che non è completamente sprofondato nella follia a inventare il modo per clonare gli esseri umani. Il suo obiettivo è quello di garantire all'umanità una vita perfetta, mai più complicata dalla malattia, dalla vanità individuale e dal desiderio sessuale. Il progetto riesce e nasce una nuova stirpe eterna e senza difetti. L'autore finge di essere un membro di questa futura umanità clonata e di redigere il libro che noi leggiamo come monumento all'antico homo sapiens, ormai scomparso.
Nel testo non c'è solo un continuo va e vieni tra il nostro futuro, che sarebbe il presente di chi scrive (il romanziere dichiara di lavorare dopo il 2075), e il nostro presente, che sarebbe il passato dello scrittore del futuro, ma anche un bilancio della seconda metà del Novecento, l'epoca nella quale vivono i due fratellastri. Inoltre la biografia dei due, che di mestiere sono uno scienziato e un professore di materie umanistiche nella scuola superiore, serve a fare i conti con la cultura di chi oggi ha poco più di quarant'anni. Questa cultura è descritta come una mescolanza di sapere accademico (la filosofia e le scienze, per esempio) e di conoscenze più commerciali, ma sorpendentemente forse più profonde. Lo scienziato, per esempio, legge al liceo Kant e Nietzsche e comprende che "la morale pura è unica e universale". Poi ci riflette e scopre che questo era quanto gli avevano già insegnato i fumetti che comprava settimanalmente a dodici anni. Come ricorda Houellebecq (nato nel 1958 come il suo personaggio) quell'etica assoluta era alla base delle avventure di Ragnar il vichingo, Rahan il figlio dell'epoca primitiva, Teddy Ted e l'Apache, Nasdine Hodja che beffava califfi e visir.
Il romanziere francese sottolinea come quei racconti, realmente apparsi sulla rivista "Pif", mettevano in scena valori morali semplici e profondi, "avvalendosi di una sorprendente varietà di ambientazioni e di epoche". Ora a noi, qui, non interessa il risvolto filosofico, caro a Houellebeck, ma proprio quella varietà di ambientazioni e di epoche: la preistoria di Rahan, il medioevo nordico di Ragnar, l'Ottocento americano di Teddy Ted e dell'Apache costituivano infatti una lezione di storia, oltre che di filosofia. Se infatti il romanzo storico ha educato alla conoscenza del passato generazioni di lettori ottocenteschi, nel Novecento la stessa funzione è stata riempita dalla carta stampata (persino la narrativa rosa ha dato vita a intere collane di romanzi storici), dal cinema (la bibliografia sull'argomento è sterminata) e dal fumetto.
Sul valore storiografico di quest'ultimo non sono mancate le riflessioni. Un bellissimo catalogo italiano di qualche anno fa schedava le variazioni dell'immagine dell'antico Egitto diffusa attraverso i comics italiani, francesi e americani e asseriva l'importanza di una cultura interdisciplinare sviluppatasi al di fuori dei ristretti confini accademici (Fumetti d'Egitto. L'Egitto dei Faraoni nel mondo del fumetto, a cura di Erik Balzaretti, Emilio Cavalleris ed Elvira D'Amicone, Milano, Electa, 1994). La stessa idea era poi ripresa da un catalogo francese altrettanto interessante (L'Egypte dans la bande dessinée, Angers, Musées d'Angers, 1998), che metteva, però, l'accento su come il fumetto fosse divenuto un potente fattore di sviluppo dell'immaginario occidentale. Insomma per il primo volume il fumetto ha un valore anche pedagogico, per il secondo è invece una spia dell'evoluzione della nostra cultura.
Negli anni 80 e 90 del secolo passato molti autori hanno riflettuto sul valore pedagogico del fumetto o sul suo essere rivelatore delle mode e dei tratti profondi di una cultura diffusa. È infatti indubbio che la graphic novel Maus di Art Spiegelman (1973-1986; tr. it. Maus. Racconto di un sopravvissuto, Torino, Einaudi, 2000) sia una delle maggiori opere del secolo passato sull'Olocausto e riveli una capacità di narrare la storia ineguagliata e forse ineguagliabile, ma è anche vero che in genere i fumetti si limitano a riutilizzare gli aspetti più folcloristici del racconto storico. In pratica, e alla stessa stregua del cinema, utilizzano la storia passata come un fattore esotico. Il racconto di avventura del secondo Ottocento ricorreva a scenari lontani come le isole del mare del Sud o il subcontinente indiano (al proposito si veda quanto scrive sul romanzo storico e sul romanzo esotico Richard Ambrosini in R.L. Stevenson: la poetica del romanzo, Roma, Bulzoni, 2001); il fumetto del secondo Novecento ambienta le sue mirabolanti avventure nel medioevo o nell'antichità. Oppure sfrutta il passato, opportunamente distorto per ironizzare sul presente: è il caso, da manuale, di Asterix, la celebre creazione di Goscinny e Uderzo, che raffigura popolazioni e personaggi di oggi. Così in Asterix e i Britanni, questi dirimpettai degli antichi galli fermano le loro risse alle cinque del pomeriggio per bere dell'acqua calda "con una nuvola di latte". A questo punto lo storico o l'insegnante non può usare i comics per raccontare la storia, ma se ne può soltanto servire per interrogare la cultura del proprio tempo.
Tuttavia anche nell'ambito dell'esotismo o dell'ironia non mancano i tentativi di trasporre rispettosamente la conoscenza del passato. È quanto cercano di fare, per esempio, gli album che compongono la già ricordata Extraordinaire aventure de Alcibiade Didascaux di Crane e Clapat: non a caso il nome del protagonista richiama il concetto di "didascalico". Di conseguenza nei paesi nei quali i comics sono più diffusi, la Francia e il Belgio in primo luogo, c'è sempre qualcuno che li utilizza per l'insegnamento e d'altronde persino in Italia Enzo Biagi ha curato in anni ormai lontani una storia italiana a fumetti. Da noi comunque questo versante didattico è meno evidente, anche perché non ci sono istituzioni come il Musée de la Bande Dessinée, che a Bruxelles cataloga buona parte di quello che è stato pubblicato ed evidenzia quindi anche quanto si è fatto in campo parascolastico o quali siano i fumetti da sfruttare per vivacizzare le lezioni in classe.
È certamente impossibile portare una classe al museo di Bruxelles. Però, adesso è possibile ricorrere al Web, il museo virtuale e concreto del nostro presente, e in particolare al sito, già citato nella prima parte, L'histoire par la bulle (http://histoire-bulle.webjump.com/).
Appena giunti a questo indirizzo, una dotta introduzione spiega come l'équipe al lavoro abbia prima di tutto diviso i fumetti in tre categorie: opere che raccontano storie vere (per esempio, la biografia di un personaggio storico); avventure umoristiche ambientate nel passato (è il caso di Asterix); opere apparentate alla tradizione del romanzo storico. Poi abbia studiato i singoli fumetti in questione. Infine abbia intervistato gli autori, chiedendo tra l'altro di quali fonti, storiche o letterarie, si siano serviti per la sceneggiatura, nonché su cosa abbiano basato la resa degli oggetti d'epoca. Partendo dai materiali ottenuti, i collaboratori del progetto hanno quindi disegnato un albero della storia umana, diviso nelle quattro epoche canoniche: antichità, medioevo, età moderna ed età contemporanea. E da ogni segmento temporale, evidenziato dall'uso di un colore diverso, hanno fatto partire i rami sui quali sono posti i vari fumetti analizzati, ognuno con la sua epoca di ambientazione in bella evidenza. Dai singoli rami si può passare alle schede sulla singola opera. Di quest'ultima è sintetizzata la trama, con indicazione degli album apparsi. Inoltre è tracciata la biografia dell'autore. Quindi sono presentate le fonti, storiche ed iconografiche, cui quest'ultimo si è ispirato. Infine è dato un giudizio, album per album, sulla riuscita storiografica dell'opera e ne è segnalato l'eventuale interesse pedagogico.
Purtroppo la maggior parte delle opere analizzate sono francesi e i fumetti italiani od in inglese appaiono soltanto se sono stati tradotti e hanno un pubblico in Francia. Tuttavia alcuni suggerimenti sono didatticamente assai importanti, come è pure rilevante la precisione con la quale molti autori hanno risposto al questionario. Tra l'altro risulta che diversi tra loro hanno letto numerose opere storiche e che hanno ben chiaro il periodo che narrano; tuttavia in genere affermano che la generale aspirazione a una certa correttezza è frenata dalla convinzione che il rispetto eccessivo possa inaridire l'inventiva e soprattutto smorzare il ritmo delle storie. Alla fine la situazione non è completamente chiarita e noi non sappiamo se il fumetto può essere uno strumento di conoscenza e di didattica della storia o se resta soltanto un mezzo espressivo utile per comprendere il momento storico nel quale è stato concepito e usato. D'altra parte analoghi dubbi sorgono anche in merito al cinema, al romanzo e a tante altre forme di espressione. Tutto può infatti servire a insegnare la storia e tutto può essere oggetto di analisi storica.

Parte V

Migrazioni

Un taglio diacronico è anche quello suggerito dalle migrazioni. Sul finire del millennio da poco concluso l'Italia ha "scoperto" che il Terzo Mondo stava muovendo alla conquista dell'Europa e questa paura (del tutto infondata) è diventata uno degli elementi portanti della campagna elettorale nella primavera del 2001. Nel frattempo gli studiosi hanno cercato in tutti i modi di suggerire alla popolazione e al ceto politico-amministrativo che forse era il caso di esaminare la questione in maniera meno aleatoria, ma ovviamente tali richiami erano meno spettacolari di quelli lanciati da chi gridava che ci si stava avviando all'islamizzazione dell'Occidente. Sociologi, storici e antropologi si sono alla fine stufati di insistere e hanno ripreso a lavorare in silenzio, sperando che una volta finita l'emergenza elettorale si potesse discutere in modo più sensato.
Al di là dei clamori propagandistici l'emigrazione è infatti un fenomeno che ha caratterizzato tutta la storia dell'umanità: al proposito un vescovo di fine Ottocento, Geremia Bonomelli, scrisse che la storia umana è sempre stata storia di migrazioni. Il presule (per la cui complessa figura, vedi gli atti del convegno Geremia Bonomelli e il suo tempo, a cura dello scomparso Gianfausto Rosoli, m.s.c., Brescia, Fondazione Civiltà Bresciana, 1999) fissava come termine d'inizio di questi migrazioni la cacciata di Adamo ed Eva dal paradiso terrestre. Pareva una figura retorica, ma i nuovi studi fondati sulla genetica storica hanno mostrato come Bonomelli non fosse tanto lontano dal vero. I genetisti hanno infatti dimostrato che l'umanità attuale origina da una regione africana e poi si diffonde in tutto il mondo, migrando da un continente all'altro.
La fondamentale opera di Luigi Luca Cavalli-Sforza, Paolo Menozzi e Andrea Piazza, The History and Geography of Human Genes (Princeton University Press, 1994; tr. it., Storia e geografia dei geni umani, Milano, Adelphi, 1997; ma si vedano anche L.L. e Francesco Cavalli-Sforza, Chi siamo: la storia della diversità umana, Milano, Mondadori, 1993) riassume la trentennale ricerca che ha sostanziato questa tesi ed evidenzia come la prospettiva genetica sia rafforzata da quella linguistica e storica per i periodi a noi più vicini (vedi dello stesso L.L. Cavalli-Sforza, Geni, popoli e lingue, Milano, Adelphi, 1996). La ricchezza di questi incroci tra discipline diverse è ora esplicitata per il caso europeo da Le radici prime dell'Europa. Gli intrecci genetici, linguistici e storici, a cura da Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti (Milano, Bruno Mondadori, 2001), che fa il punto su quello che sappiamo relativamente alle origini delle odierne popolazioni del nostro continente.

1. Nuove prospettive sull'emigrazione

Per il momento le possibilità offerte dalla ricerca genetico-linguistica appena ricordata sono discusse soprattutto dagli studiosi di preistoria, mentre coloro che studiano lo scorso millennio sembrano, a sorpresa, molto più restii a parlare di migrazioni, se non per i fenomeni otto-novecenteschi più macroscopici. C'è, per esempio, un curioso imbarazzo degli storici economici a tener conto delle caratteristiche migratorie di tanti traffici del passato. Così Marco Vendittelli in un volume sui mercanti italiani nell'Inghilterra medievale già menzionato nella prima parte ("In partibus Angliae". Cittadini romani alla corte inglese nel Duecento: la vicenda di Pietro Saraceno, Roma, Viella, 2001) sottolinea ripetutamente che il personaggio al centro del suo studio non deve essere considerato un "emigrato", perché mai avrebbe tagliato i ponti con la sua città d'origine. Ora se c'è un argomento sul quale tutti gli storici dell'emigrazione antica o contemporanea concordano, è proprio che gli emigranti non tagliano i ponti con i luoghi di partenza e tendono invece a tessere reti che uniscono città assai lontane fra loro. È naturalmente ingeneroso prendersela con Vendittelli, specialista dei secoli basso medievali, per questa sua imprecisione. Però, è necessario segnalarla, perché appare in un interessante studio di storia economico scritto da un ottimo studioso del medioevo romano ed è quindi rivelatrice di una più generale incomprensione dei fenomeni migratori da parte degli storici.
Un caso particolare delle ragnatele economiche che collegano i luoghi di partenza e quelli di arrivo delle migrazioni italiane è illustrato in Tra identità culturale e sviluppo di reti. Storia delle Camere di commercio italiane all'estero, a cura di Giulio Sapelli (Soveria Mannelli, Rubbettino, 2000). In particolare Emilio Franzina, in un eccellente saggio di quasi novanta pagine, evidenzia l'intrico tra strategia degli emigranti, sedimentarsi delle comunità emigrate, volontà del governo e veti dei paesi d'immigrazione.
Le reti e gli intrichi analizzati da Franzina trovano un notevolissimo riscontro visivo in un cd-rom prodotto dal Centro Studi Emigrazione di Roma (d'ora in poi CSER): Con il cuore e le mani. Immagini dell'emigrazione italiana. Questo lavoro, sponsorizzato dalla Direzione Generale dei Missionari Scalabriniani, dal Ministero degli Affari Esteri - DGIEPM, dalla Fondazione Migrantes e dal Banco Ambrosiano Veneto, prende le mosse dall'archivio fotografico che il già citato padre Rosoli aveva creato prima di scomparire prematuramente. Dopo la sua morte il Centro Studi Emigrazione ha scandito tutte le foto possedute da Rosolin e ne ha aggiunto altre tratte dai repertori del Center for Migration Studies di New York, del Centro de Estudios Migratorios Latino-Americanos di Buenos Aires, della Fondazione Sella di Biella, dell'Archivio "Paolo Cresci" della Provincia di Lucca, nonché dalle collezioni private dei padri Abramo Seghetto (Belgio), Luigi Taravella (Francia), Benito Gallo (Lussemburgo) ed Ezio Marchetto (Canada) e da quella del professor Luciano Tosi sull'emigrazione umbra. Ne è venuto fuori un vero e proprio museo virtuale, composto da 2000 immagini, che costruiranno presto il nucleo di una speciale sezione del sito dello CSER (http://www.cser.it).
Quelle appena ricordate sono diverse possibilità di affrontare la storia dell'emigrazione. Alcune di esse sono riuscite sullo scorcio del secolo scorso a rivitalizzare un tema che in Italia sembrava moribondo. In effetti sul finire del secondo millennio lo studio dell'emigrazione italiana aveva toccato il punto più basso della sua parabola. Non usciva nulla di nuovo, mentre alcune grandi sintesi venivano accolte nel più generale silenzio. All'estero l'esperienza degli immigrati di origine italiana era destinata a nutrire il ghetto storiografico degli "ethnic studies". Poi lentamente la ricerca sull'emigrazione ha ripreso quota e ha conosciuto una maggior fortuna, forse per effetto delle attuali migrazioni, forse per la capacità di alcuni studiosi, come Emilio Franzina, di spendersi alla radio e alla televisione e di ottenere una certa visibilità politica.
Inoltre iniziavano ad apparire importanti contributi stranieri, soprattutto dal Nord America. In Canada, per esempio, sono stati pubblicati libri di grande interesse, basti ricordare The Darkest Side of the Fascist Years. The Italian Canadian Press: 1920-1942 di Angelo Prince (Toronto, Guernica, 1999), A Monument for Italian-Canadian Immigrants, a cura di Gabriele Scardellato e Manuela Scarci (Toronto, Department of Italian Studies - Italian Canadian Immigrant Commemorative Association, 1999), e il fondamentale Enemies Within. Italian and Other Internees in Canada and Abroad, a cura di Franca Iacovetta, Roberto Perin e Angelo Principe, Toronto, University of Toronto Press, 2000. Il primo ha sottolineato la presa fascista sulla massa degli immigrati di origine italiana contro una vulgata cara a molti italocanadesi o italoamericani, che tendono a vedere i loro compatrioti arrestati durante la seconda guerra mondiale come mere vittime di governi falsamente democratici. Il secondo ha approfondito il discorso sulle origini regionali dei flussi e di fatto schedato l'emigrazione italiana in Canada a partire dalle regioni di partenza. Il terzo ha rimesso in discussione il giudizio sui rapporti tra comunità emigrata e propaganda fascista. Dagli Stati Uniti infine Donna R. Gabaccia ha tratteggiato il primo quadro globale dell'emigrazione italiana con Italy's Many Diasporas (London, UCL Press, 2000).
In questo fervore di iniziative in Italia si è distinto soprattutto il settore relativo ai flussi verso l'America Latina. A questa infatti sono stati dedicati tre volumi dal taglio assai originale, che formano curiosamente una sorta di trittico.
Amoreno Martellini, già autore di Fra Sunny Side e la Nueva Marca. Materiali e modelli per una storia dell'emigrazione marchigiana (Milano, Angeli, 1999), ha ricostruito un particolare settore dell'emigrazione attraverso un percorso biografico. La non lunga avventura sudamericana del marchese iesino Adriano Colocci (1855-1941) gli permette infatti di ricordare I candidati al milione. Circoli affaristici ed emigrazione d'élite in America Latina alla fine del XIX secolo (Roma, Edizioni Lavoro, 2000). Colocci è un personaggio abbastanza noto agli storici, tanto che ha avuto diritto alla sua brava voce sul Dizionario Biografico degli Italiani. Ha insegnato all'università e diretto giornali, è stato uno studioso di fama internazionale e un membro del Parlamento italiano, ha infine viaggiato nei Balcani, in Medio Oriente, in Africa, in Spagna e nell'America Latina. Qui in particolare si è recato nel 1889 per risollevare le proprie sorti dopo una serie di rovesci finanziari. Ha esplorato le possibilità che gli si offrivano in Argentina, Uruguay e Brasile e non è riuscito a far fortuna. In compenso le sue lettere, abilmente montate da Martellini, tratteggiano vivacemente cosa significasse l'emigrazione per una composita cerchia di affaristi, artisti/architetti e giornalisti che con alterni risultati ha cercato di sfondare oltreoceano. I candidati al milione diventa così il principale contraltare, assieme agli studi su Ferdinando Maria Perrone di Paride Rugafiori, al sempre citato Un principe mercante (1900) di Luigi Einaudi. L'emigrazione affaristica italiana non era, almeno a leggere questi studi recenti, una faccenda di alta finanza e di grande coraggio, come voleva l'economista poi divenuto presidente della Repubblica, ma sembrava composta da quei personaggi che Alberto Sordi e Vittorio Gassman erano soliti interpretare nelle migliori commedie all'italiana: imbroglioni, pataccari e magliari di alto e di basso bordo. D'altronde il quadro politico-economico di tutta l'America Latina non era migliore e forse quegli emigranti erano le persone giuste nel luogo giusto.
Se qualche compagno di Colocci è riuscito ad arrivare sulla cresta dell'onda e ad essere apprezzato dagli stessi latino americani, magari per un breve lasso di tempo, molti degli emigranti più laboriosi o dei loro figli non hanno goduto di eguale stima. Italiani malagente. Immigrazione, criminalità, razzismo in Argentina, 1890-1940 di Eugenia Scarzanella (Milano, Angeli, 1999) mostra quanta fosse la sfiducia nei riguardi dei nostri emigranti e come fosse incrementata dall'applicazione letterale delle teorie di Cesare Lombroso. Scarzanella, già autrice di Italiani d'Argentina. Storie di contadini, industriali e missionari italiani in Argentina, 1850-1912 (Venezia, Marsilio, 1983), spiega come la criminologia servisse a stigmatizzare gli emigranti, facendone piccoli geni del male o mostri di malvagità e abbrutimento assoluti. Di fatto, scrive la storica italiana, a rileggere gli archivi quei casi criminali sembrano piuttosto esempi "di una modesta arte di arrangiarsi. Piccoli furti con scasso nelle abitazioni borghesi, sottrazione di portafogli, di mercanzie esposte nei negozi, di abiti (attraverso le finestre lasciate aperte nelle notti estive [...]), di galline ".
A rileggere quelle storie si nota la somiglianza con l'oggi e tutto sommato chi ci fa brutta figura sono i giornalisti, i politici, gli esperti di criminalità e di emigrazione: chissà quindi che fra qualche decennio non avvenga lo stesso a proposito di chi grida contro l'immigrazione in Italia. In ogni caso, a rincuorare gli attuali emigranti, abbiamo anche un volume che rileva come anche le minoranze imprenditrici possano aver fortuna: Minoranze e culture imprenditoriali. Cile e Italia (secoli XIX-XX) a cura di Franco Bonelli e Maria Rosaria Stabili (Roma, Carocci, 2000). In esso Roberta Garruccio riflette sulla tematica generale del capitale e della piccola impresa etnica sulla linea di studi recenti, anche sugli italiani - come quell'Imprenditori biellesi in Francia fra Ottocento e Novecento, Milano, Electa, 1997, che riassume uno degli aspetti più innovativi delle ricerche di Patriza Audenino, Paola Corti e Ada Lonni. Garruccio nota così come ci siano anche degli elementi favorevoli agli imprenditori emigrati, l'esistenza di una cosiddetta nicchia economica "etnica", ma che le ragioni del successo di alcuni di loro debbano ancora essere approfondite. Proprio questo richiamo ad ulteriori studi mi sembra uno dei lati positivi della nuova ondata di studi sull'emigrazione: sia nei tre volumi nordamericani, sia in quelli italiani gli autori hanno saputo affrontare nuova documentazione ed evidenziare quanto si possa ancora riflettere e ricercare. Il loro è un atto d'amore verso lo studio, ma d'altronde, come ricorda Gabaccia nella sua introduzione, soltanto tale passione invoglia a lavorare in settori ancora ostici, come quello della storia delle migrazioni.
Per chi voglia informarsi e leggere i volumi appena citati consiglio di consultare il sito dello CSER, citato più sopra. Esso infatti ospita il catalogo della biblioteca. Si tenga conto che essa è l'unica in Italia specializzata nello studio delle migrazioni (possiede circa 30.000 titoli ed è abbonata a molte riviste altrimenti introvabili) e che il catalogo informatizzato offre una mirabile scheda di ricerca in grado di incrociare diversi elementi identificativi di un'opera, della quale per disgrazia non si conosca il titolo esatto, oppure per costruire una bibliografia su un determinato argomento. Sono inoltre spiegate le modalità per prendere un appuntamento e consultare la biblioteca stessa.
Dal sito del CSER è inoltre possible accedere a quello del Centro di Informazione e Documentazione su Immigrazione e Intercultura, ospitato nello stesso stabile di via Dandolo 58 a Roma. Questo secondo Centro è frutto di un'iniziativa congiunta dello CSER e dell'Ufficio Speciale Immigrazione del Comune romano e documenta la storia dell'immigrazione nella Città Eterna dall'antichità ad oggi. Offre consulenza e tutoraggio per progetti di ricerca e/o didattici, promozione di seminari formativi e informativi, accesso a materiale audiovisivo e digitale. L'indirizzo http://www.roma-intercultura.it segnala mostre e convegni, pubblicazioni ed enti e scheda gli interventi legislativi inerenti l'emigrazione. Inoltre offre anch'esso accesso alla biblioteca del CSER, nonché ad un archivio multimediale, a statistiche e sondaggi sull'emigrazione, e a una serie di link utili.

2. Italia e America

Maurizio Ridolfi ci ha ricordato in Interessi e passioni. Storia dei partiti politici italiani tra l’Europa e il Mediterraneo (Milano, Bruno Mondadori, 1999), che la storia politica europea deve essere sempre confrontata a quella americana. In America l’età dei partiti si è infatti consumata prima che in Europa e soprattutto, avendo preceduto l’evoluzione europea, l’ha ispirata: si pensi al significato del viaggio in America di Alexis de Tocqueville. Ben altri viaggi sono stati compiuti in seguito, in particolare nei decenni dopo la seconda guerra mondiale: viaggi che hanno mutato la politica italiana, piuttosto che la teoria politica. Maria Eleonora Guasconi, L’altra faccia della medaglia. Guerra psicologica e diplomazia sindacale nelle relazioni Italia-Stati Uniti durante la prima fase della guerra fredda (1947-1955) (Rubettino 1999) approfondisce le ricerche iniziate anni fa da Federico Romero e mostra come entrambi gli alleati abbiano cercato di manipolare e spesso manipolato il rispettivo partner. Francesco Gozzano, Europa e America: egemonia o partnership? Cinquant’anni di difficili relazioni transatlantiche (1946-1999) (Franco Angeli 1999) estende questo discorso a tutto lo sviluppo politico, economico e diplomatico europeo.
La situazione si è ovviamente incancrenita negli ultimi anni e sul Web si trova un bel Forum del 1998, nel quale James Woolsey, ex-direttore della CIA, e Noam Chomsky dibattono della politica estera americana (www.pbs.org/ newshour/forum/march98/intervention_3-12.html). Ai due è chiesto se pensino che l’America avesse l’obbligo morale d’intervenire nel Golfo, nei Balcani, ecc., e se questi interventi fossero coerenti alla precedente politica estera degli Stati Uniti. Inoltre si domandava se il governo americano avesse varcato i limiti della sua autorità e se il pubblico avesse ricevuto una corretta informazione, in grado di fargli capire cosa stesse avvenendo e gli eventuali pericoli e problemi che ne conseguivano. E’ un dibattito agguerrito – ovviamente i due hanno posizioni opposte – e soprattutto mostra come la rete possa essere un vero archivio e non soltanto catalogare il presente più effimero.
Per chi si interessa di viaggi e contatti Italia-America più lontani negli anni, anzi nei secoli, un caso molto studiato è quello di Giovanni Caboto, autore di due spedizioni verso il Nuovo Mondo a fine Quattrocento, sparito nel corso della seconda. A Giovanni Caboto e al figlio Sebastiano è dedicato un cd-rom bilingue I Caboto e il Nuovo Mondo – The Cabots and the New World, commissionato da RAI-International nel 1997, in occasione del cinquecentenario della prima e più fortunata spedizione. Come tanti di questi cd è un lavoro carino e ben fatto, le musichette di accompagnamento sono orecchiabili e i filmati divertenti, però l’operazione è sostanzialmente inutile. Non dice niente di nuovo, anche se lo fa con grazia e per giunta in due lingue.
Sempre nel 1997 si sono tenuti vari convegni cabotiani. Alcuni hanno dato origine a volumi di atti (per esempio Giovanni Caboto e le vie dell’Atlantico settentrionale, a cura di Marcella Arca Petrucci e Simonetta Conti, Brigati 1999) in genere altrettanto inutili del sopraccitato cd. C’è infatti un po’ di tutto, senza grandi approfondimenti: qualcosa su Caboto e la sua biografia (ma in genere ci si arena sulla discussione se era di Gaeta, di Genova o di Venezia), sui viaggi colombiani e sull’emigrazione e i contatti fra Canada e Italia. Al proposito la Regione Lazio ha pubblicato nel 1997 Viaggi verso il nuovo mondo. Giovanni Caboto e l’immigrazione italiana in Canada, che contiene una buona sintesi firmata da Gabriele Scardellato, ma è per il resto molto zoppicante e male impostato editorialmente.
In qualche caso si è almeno risparmiato, unificando in un solo volume le relazioni di vari convegni e si è anche riusciti ad enucleare saggi di un discreto interesse. Così Rossella Mamoli Zorzi, già curatrice nel 1992 assieme a Ugo Tucci di Venezia e i Caboto. Le relazioni italo-canadesi, ha ora edito per la Marsilio Attraversare gli Oceani. Da Giovanni Caboto al Canada multiculturale (1999), nel quale ha raccolto i colloqui cabotiani di Venezia e di Toronto. Accanto alla solita zavorra e ad alcuni lavori di routine di grandi studiosi, presenta qualche significativa novità: in particolare due saggi di Edoardo Giuffrida sul recente ritrovamento di documenti veneziani relativi al navigatore e gli interventi di Roberto Perin, Gabriele Scardellato e Angelo Principe sull’uso che del nome di Caboto si è fatto in Canada. Quest’ultimo è argomento di non poca importanza: la campagna per l’erezione di un monumento a Caboto è stato il fulcro del tentativo fascista di conquistare l’attenzione degli emigrati italiani negli anni 20 e 30; inoltre l’affermazione che Caboto è stato il primo a scoprire il Canada ha permesso agli anglo-canadesi di sminuire le imprese di Jacques Cartier, uno dei padri simbolici della Nuova Francia.
Per questo motivo da oltre un secolo si dibatte in Canada quali siano i luoghi effettivamente visti da Caboto : sono veramente canadesi o la spedizione toccò terra in quelli che oggi sono gli Stati Uniti ? In questo secondo caso Cartier resterebbe il primo ad aver scoperto il Canada. La letteratura sull’argomento è così vasta che Peter E. Pope ha potuto dedicargli un intero libro, The Many Landfalls of John Cabot (Toronto, University of Toronto Press, 1997). Inoltre gli abitanti di Terranova sono sempre ancora molto orgogliosi di abitare l’isola dove i primi europei (dai vichinghi a Caboto) sono sbarcati: lo testimonia John Cabot and Newfoundland di Alan F. Williams (St. John's, Newfoundland Historical Society, 1996). Infine gli italiani hanno continuato a rivendicare il viaggio di Caboto a conferma che America is a Good Italian Name, come è significativamente intitolata la monografia di Richard E. Jones edita nel 1998 dalla Dante Alighieri Society of Kingston, Ontario.
E’ ovvio quindi che nel Web si trovi abbastanza su Giovanni Caboto. Se si entra nella rete con Google attraverso il portale di Virgilio, si trovano 357 pagine; se invece si sceglie Altavista, se ne trovano 742: niente male per un personaggio del quale in fondo si sa poco.  I siti nordamericani sono in maggioranza. Alcuni elencano documenti d’archivio, carte e bibliografia a disposizione (http://www.cancom.net/~encyspm/cabot/). Altri evidenziano il ruolo di Caboto nell’immaginario italo-canadese (http://www.wnd-biz.com/giovanniclub; http://www.fgsd.winnipeg.mb.ca) e italo-americano (http://www.qc.edu/Calandra_Italian_American_Institute/; http://www.niaf.org/explorer.htm). Infine pagine  museali raccolgono le testimonianze sul viaggio del 1497 (http://www.civilization.ca; http://www.heritage.nf.ca/exploration/). Il sito ufficiale del cinquecentenario non è un granché, ma è stato rilavorato in modo da documentare tutte le iniziative che hanno avuto luogo e sarà quindi utile per futuri studi (http://www.cabot500.nf.ca). Offre inoltre link come quello http://(www.mediatouch.com/cabot) che permette di acquistare il cd-rom Cabot : The Discovery of a New World per soli 34 dollari e 95 centesimi, più le spese postali.
In ambito italiano spiccano le discussioni sulla ricostruzione della nave di Caboto, che nel 1997 è partita da Bristol alla volta di Terranova (http://www.inforamp.net; http://www.informare.it) e le iniziative della regione Veneto (http://www.regione.veneto.it/videoinf/): una vera e propria campagna promozionale con tanto di monumento inaugurato a Capo Bonavista (Terranova). Sempre nel Veneto un sito sui chioggiotti illustri rivendica Caboto come concittadino (http://chioggia.clodianet.it/). Http://www.eder.it/eder/crofil/novita/97/italia/caboto.htm e http://www.areacom.it/html/arte_cultura/ filatelia/vaticano/1997/ riproducono in rete i francobolli italiani e vaticani per il cinquecentenario.
Un’ottima scheda su Giovanni Caboto è infine offerta da http://www.win.tue.nl/~engels/discovery. Questo d’altronde è un sito straordinario, il Discoverers Web, introdotto da un indice, che prende 23 pagine a stampa. Il sito riporta e aggiorna le biografie di tutti i navigatori dell’età moderna, nonché tredici sezioni storiche. La prima è ovviamente introduttiva, le altre sono dedicate a: le esplorazioni dalla preistoria; i viaggi nel mondo antico (3000 a.C.- 500 d.C.): i viaggi nel medioevo; l’età delle scoperte (1400-1520); le Indie orientali; America centro-settentrionale; America meridionale; Asia; Africa; il Pacifico e l’Australia; le regioni polari; esploratori non europei. Ogni capitolo e ogni singola scheda sono corredati da rimandi interni al sito e da ottimi link esterni. Non ci sono quasi immagini, perché l’autore rinvia direttamente a Map History/History of Cartography Gateway e ad altri siti che garantiscono i link necessari. Nelle schede sono discussi persino i viaggi fantastici, come la cosiddetta Navigazione di s. Brendano, o quelli controversi: in una sottosezione sui cartaginesi è così analizzato il dibattito sulla possibile scoperta delle Azzorre; il problema dei vichinghi nell’America settentrionale ha, a sua volta, una propria sottosezione nei viaggi medievali. E’ insomma una risorsa fondamentale per qualsiasi tipo di ricerca che abbia a che fare con la storia delle esplorazioni.

3. Migrazioni di fine millennio

Emilio Franzina, massimo esperto dell’emigrazione italiana e autore del fondamentale Gli italiani al Nuovo Mondo. L’emigrazione italiana in America (1492-1942) (Milano, Mondadori, 1995), ha ricordato sul finire del secondo millennio la necessità di vagliare in cosa le migrazioni odierne differiscano da quelle passate e di capire se la conoscenza di quello che è già avvenuto può aiutare gli sviluppi futuri. A tal scopo egli ha raccolto in volume (La storia altrove, Verona, Cierre, 1998) alcuni saggi che analizzano, come dice il sottotitolo, “casi nazionali e casi regionali nelle moderne migrazioni di massa”: a suo parere infatti la storia dell’emigrazione italiana degli ultimi due secoli non è un fenomeno monolitico, ma è composta da flussi regionali, ognuno con proprie caratteristiche. In effetti la più moderna produzione italiana batte sullo stesso tasto e approfondisce la dimensione regionale degli esodi e dei ritorni in modo da rendere possibile una storia complessiva dell’emigrazione italiana, che non sia astratta, ma nasca dallo studio comparato delle specificità regionali. Sono così apparsi nell’arco di pochi mesi due eccellenti sintesi sui flussi che, tra fine Ottocento e crisi degli anni 1930, partirono dalle Marche (il già citato studio di Amoreno Martellini, Fra Sunny Side e la Nueva Marca) e dal Mezzogiorno continentale (Andreina De Clementi, Di qua e di là dall’oceano. Emigrazione e mercati nel Meridione (1860-1930), Roma, Carocci, 1999), nonché un’enciclopedica storia in quattro volumi de Le Marche fuori delle Marche (a cura di Ercole Sori, Ancona, Quaderni monografici di “Proposte e ricerche”, 1998). Le opere in questione esplorano le migrazioni post-unitarie, sottolineando come le dinamiche scatenate dall’unificazione italiane si siano innestate su fenomeni di più lunga durata. L’emigrazione cioè non è stata un’avventura alla cieca, ma è nata riflettendo su un’esperienza precedente. Le catene migratorie e il loro estendersi su più secoli sono illustrati da La montagna mediterranea: una fabbrica d'uomini? Mobilità e migrazioni in una prospettiva comparata (ss. XV-XX), a cura di Dionigi Albera-Paola Corti, Cavallermaggiore, Gribaudo, 2000.
Lo stesso tema attira anche molti studiosi impegnati sul Web: di conseguenza quest’ultimo è ricco di siti che affrontano tali argomenti. In particolare molti organismi di ricerca mettono a disposizione materiali in progress oppure intere pubblicazioni. Basti ricordare la Fondazione Giovanni Agnelli, grande promotrice di richerche sulle migrazioni, che, dal 1996, ha rinunciato a stampare su carta la rivista “Altreitalie” e la mette a disposizione all’indirizzo http://www.italians-world.org/altreitalie/, dove si possono anche trovare i testi pubblicati sui primi fascicoli. Oppure il Centro Studi Emigrazione dei già menzionati padri scalabriniani, la home page dei quali (http://www.scalabrini.org), oltre a rimandare al sito, già discusso, dello CSER, offre un ponte con altri centri della stessa Congregazione: il Center for Migration Studies di New York (http://www.cmsny.org/), il Centre d’information et d’études sur le migrations di Parigi (http://members.aol.com/ciemiparis), lo Scalabrini Migration Center di Quezon City nelle Filippine (http://www.sequel.net/~smc), il Centro de Estudios Migratorios Latino-Americano di Buenos Aires (http:www.scalabrini.org/~cemla) e il Centro de Estudos Migratorios di San Paolo (http:www.scalabrini.org/~cem). I siti scalabriniani documentano la propria attività, attenta alla storia plurisecolare delle migrazioni e ai fenomeni odierni, come mostrano le liste di pubblicazioni presentate: è particolarmente imponente quella del centro newyorchese, ma appaiono di assoluto spessore anche i libri e le riviste editi dai centri di Roma, Parigi e Buenos Aires.
Spesso la ricerca sull’emigrazione prevede un’interrelazione dialettica tra luogo di partenza e luogo di arrivo, dimensione regionale e dimensione nazionale, dimensione nazionale e dimensione internazionale. Proprio per questo gli studiosi hanno recentemente proposto un approccio, la cosiddetta prospettiva transnazionale, che tenga conto di tutte queste dimensioni e non si arresti a un solo aspetto delle migrazioni. E’ un tema alla moda, che nasce da una constatazione lapalissiana: un flusso migratorio internazionale coinvolge più nazioni e quindi partecipa alla storia di più nazioni. Gli italiani emigrati negli Stati Uniti hanno contribuito alla storia d’Italia e a quella americana; inoltre la loro esperienza è comparabile a fenomeni analoghi e facilita quindi l’elaborazione di un modello interpretativo generale che si può applicare a numerosi casi. Questo approccio rischia di farci scoprire l’acqua calda oppure di farci elaborare modelli così generali da essere inutilizzabili; tuttavia può essere un utile correttivo a studi troppo appesantiti dal non voler abbandonare punti di vista ritenuti sicuri. Un buon test di quanto oggi a disposizioni si può avere chiedendo a un qualsiasi motore di ricerca, per esempio Altavista, di trovare qualcosa su questi nuovi studi. Grazie a questo esperimento sono finito su http://les.man.ac.uk/sa/Transnationalism/tnpapers.htm, dove sono stati deposti nel settembre 1998 gli interventi a una conferenza dedicata al transnazionalismo.
Tale sito appare a prima vista più grande di quanto sia realmente: in realtà su 12 testi (Besserer, Bowman, Caplan, Gledhill, Lifekwunigwe; Malkin, Pieke, Smith, Stivens, Wade, Werbner, Westwood), ben 6 sono sia in formato HTML senza note, sia in formato Word per Windows con note. Il sito è brutale, per soli studiosi: la grafica infatti è quella di un articolo inedito, non c’è alcuna illustrazione o alcun artificio che possa attirare l’occhio. In compenso l’idea di depositare gli atti di un convegno in attesa della loro pubblicazione (che spesso prende anche 5 o 6 anni) è allettante. I lavori sono infatti a disposizione e si trovano facilmente. Anzi viene da pensare che gli atti dei convegni dovrebbero essere pubblicati proprio così, sotto forma elettronica, eliminando i ritardi, salvando gli alberi dell’Amazzonia ed evitanto che i Remainders di mezzo mondo siano intasati da volumi miscellanei invenduti offerti al 50 o al 75% del prezzo originale. Magari si potrebbe prevedere che chi voglia scaricare o stampare un contributo, paghi una modica somma.
Ma torniamo al nostro convegno sul Web e in particolare a un intervento, quello di Robert Smith della Columbia University (New York), in HTML e senza note. Smith compara l’emigrazione messicana e quella italiana negli Stati Uniti e si domanda se si possa ancora avvalorare il modello classico per cui l’emigrante, una volta abbandonato il paese d’origine, dimentica la sua cultura e la sua nazionalità di partenza e si “americanizza”. In realtà, continua Smith, gli emigranti, anche se hanno deciso di trasferirsi definitivamente, tendono a creare un campo transnazionale, nel quale mantengono non soltanto una duplice cittadinanza, ma una duplice appartenenza. Così gli emigranti messicani approfittano del più facile accesso ai media negli Stati Uniti per protestare contro la mancanza di diritti umani nel Messico. Contemporaneamente lo stato messicano si preoccupa dei concittadini emigrati ed elabora un programma per seguirli, anche perché la recente legalizzazione di oltre tre milioni di messicani emigrati illegalmente negli Stati Uniti ha reso assai forte quella comunità. E questa ha potuto appoggiare il PRD di Cuauhtemoc Cardenas, che si è recato più volte in California, contro il PRI al potere o ha potuto finanziare importanti lavori pubblici nelle aree di partenza: gli emigrati dallo Zacatecas hanno per esempio versato ingenti somme al governatore di quello stato messicano. Inoltre il governo messicano oggi si muove nell’ambito di un Nord America reso più integrato da programmi come il NAFTA (l’accordo trilaterale con Canada e Stati Uniti) e pensa che gli emigranti siano una carta da giocarsi nella politica continentale. Secondo Smith questo tentativo di utilizzare i propri connazionali all’estero come pedoni sulla scacchiera internazionale è già stato anticipato dall’Italia, in particolare durante il ventennio fascista. L’idea non è sbagliata, ma purtroppo Smith, come molti studiosi anglosassoni, legge soltanto l’inglese. Di conseguenza il percorso che lui vede dalla prima emigrazione post-1860 a quelle successive alla prima guerra mondiale è determinato dal non conoscere la vasta letteratura italiana sulle forze avverse all’emigrazione nel mezzo secolo precedente il fascismo. Non è infatti assolutamente credibile l’immagine di uno stato unitario che gestisce e favorisce una politica diasporica per avere capitali dall’estero (le rimesse degli emigranti) e contemporaneamente attenuare la pressione demografica.

4. Emigrare da San Marino

Negli ultimissimi mesi del secondo millennio sono apparsi numerosi contributi sulla storia delle migrazioni italiane. Due volumi di particolare qualità, Gilles Pécout, Il lungo Risorgimento. La nascita dell’Italia contemporanea (1770-1922) (Bruno Mondadori 1999) e Gli italiani e il Tricolore. Patriottismo, identità nazionale e fratture sociali lungo due secoli di storia, a cura di Fiorenza Tarozzi e Giorgio Vecchio (Il Mulino 1999), hanno inserito la vicenda migratoria nel contesto nazionale. Pécout ha sottolineato come l’emigrazione sia stata l’altra faccia dell’unità nazionale; Emilio Franzina, nel volume curato da Tarozzi e Vecchio, ha mostrato l’emigrazione abbia contribuito a formare il sentimento nazionale tra i lavoratori recatisi all’estero.
A fianco degli studi sulle partenze italiane si è sviluppato un piccolo filone riguardante la Repubblica di San Marino. Il recente studio di Roberto Venturini, “Dopo nove giorni di cielo e acqua”. Storia, storie e luoghi in mezzo secolo di emigrazione sammarinese negli Stati Uniti (San Marino, Edizioni del Titano, 1999) ricorda come l’emigrazione abbia sempre avuto molta parte nelle vicende del minuscolo stato. Esso infatti ha sempre goduto di scarsi redditi e un buon numero dei suoi cittadini sono vissuti ai limiti della sussistenza: è stato quindi obbligatorio incrementare in qualche modo le magre risorse offerte dal lavoro dei campi.
Inizialmente gli emigrati si sono mossi solo stagionalmente verso il granducato di Toscana e lo stato pontificio. Nella seconda metà del secolo le distanze degli spostamenti crescono e alcuni sanmarinesi cercano lavoro nei grandi porti dell’Italia settentrionale (Genova e Trieste). Alla fine del secolo il traforo del Sempione (1898-1906) attrae muratori e scalpellini di San Marino, mentre altri loro concittadini varcano i confini italiani. Una corrente si disperde in tutta Europa (Francia, Svizzera, Germania, Austria e persino Serbia, Grecia e Romania), una seconda porta oltre il Mediterraneo (Turchia, Egitto ed Algeria), una terza infine varca l’oceano (Argentina, Brasile e Stati Uniti). Agli inizi del Novecento queste tre direttrici sono stabilizzate e l’emigrazione sammarinese raggiunge il suo picco. Nasce quindi il problema, non piccolo, di curare gli interessi dei partenti e nel 1909 San Marino si accorda con l’Italia per far seguire i propri concittadini all’estero dai diplomatici italiani.
Negli anni che precedono la guerra la situazione economica non migliora e dopo il conflitto le partenze riprendono con vigore. Alle elezioni del 1923 il partito fascista conquista la piccola Repubblica e, come in Italia, l’emigrazione politica si aggiunge a quella da lavoro. Il fascismo sammarinese sceglie a questo punto una politica assai morbida verso l’emigrazione e i sammarinesi continuano a cercare fortuna all’estero: chi rientra dagli Stati Uniti per la crisi del 1929, riparte poi per la Francia o la Svizzera. Segue un decennio di relativa calma, poi l’emigrazione riesplode nel 1944 e successivamente si mantiene su un buon livello di partenze annue sino a tutto il 1962.
Gli studi sull’emigrazione sammarinese nascono grazie anche all’opera della Segreteria di Stato per gli Affari Esteri che ha promosso convegni sul tema e ne ha fatto pubblicare gli atti, da Emigrazione sammarinese (1987) a Così lontano, così vicini. L’emigrazione sammarinese tra storia e memoria (1995). Negli ultimissimi anni funge invece da traino il Museo dell’emigrante (Antico Monastero di Santa Chiara, Contrada Omerelli 23), con annesso Centro studi permanente sull’emigrazione, biblioteca specializzata e cineteca.
Sul piano tradizionale il Museo ha promosso una collana presso le locali Edizioni del Titano (per maggiori informazioni, consultare indirizzo elettronico www.edizionititano.sm). In essa sono apparsi contributi sull’emigrazione in generale (L’emigrazione nella storia sammarinese tra Ottocento e Novecento, a cura di Giorgio Pedrocco, 1998) e sui flussi verso la Francia e il Belgio (David Bologna, Comunità senza terra. Un caso di emigrazione sammarinese: la Francia, 1996; Silvia Berti – Eleonora Renzi, “...e siam dovuti andare sottoterra a lavorare ...”. Sammarinesi nei bacini carboniferi del Belgio 1946-1960, 1999) che hanno adeguatamente sfruttato il materiale raccolto dal museo.
Tuttavia l’aspetto più originale di questo nuovo tipo di museo è offerto dall’approccio informatico. Il Museo ha infatti un indirizzo (http://www.omniway.sm/emigration) grazie al quale si può in primo luogo avere una presentazione generale del materiale raccolto e dei progetti in corso o ancora da realizzare. Veniamo così a sapere che sono stati principalmente raccolti oggetti (strumenti di lavoro e utensili), fonti scritte e fonti iconografiche. La consistenza delle seconde è di notevole rilievo, comprende infatti: la corrispondenza degli emigranti; documenti vari (passaporti, certificati, biglietti di viaggio, libretti di lavoro, annunci e partecipazioni di battesimi, cresime e nozze nelle comunità all’estero); stampa d’epoca; letteratura minore (soprattutto autobiografie). Ma non è da trascurare la raccolta di oggetti di lavoro e di foto: una parte delle quali sono disponibili in rete.
La complessa struttura del Museo, così come la sua presentazione sul Web, sono non soltanto a disposizione dei ricercatori, ma anche, forse soprattutto, delle scuole di ogni ordine e grado. I curatori ritengono infatti che il loro materiale serva a promuovere incontri informativi con docenti e discenti e ad aiutarli ad organizzare percorsi di studio e di ricerca. A tal proposito è stata anche organizzata una mostra itinerante su dodici pannelli per le scuole dell’area circostante San Marino, che vuole ovviamente ricostruire la vicenda dell’emigrazione sanmarinese, ma anche aiutare ad acquisire una maggiore consapevolezza critica dell’ampiezza (geografica e cronologica) del fenomeno migratorio.

Conclusioni

Il capitolo sull'emigrazione da San Marino evidenzia la capacità della rete di offrire informazioni anche su fenomeni ristretti a un'area estremamente ridotta. Allo stesso modo i siti italoamericani e italocanadesi mostrano come il Web si faccia portatore di messaggi da gruppi relativamente ridotti. Quest'ultimo aspetto è ribadito da un fenomeno in netta crescita, quello dei siti genealogici. Qui per esempio, al di là del sito di Ellis Island (http://www.ellisislandrecords.org/) che offre la lista di tutti i passeggeri sbarcati negli Stati Uniti, potete consultare anche i risultati di migliaia di associazioni etniche a base locale, come quello della  Polish Genealogical Society of Texas, che documenta la fondazione della prima parrocchia cattolica polacca in territorio statunitense http://pgst.org/. In ogni caso tutta la galassia genealogica andrebbe esplorata, soprattutto perché ha coinvolto nella ricerca storica milioni di persone e perché queste hanno trovato in Internet il miglior metodo di scambiare informazioni.
Quello dello scambio torna qui come il vero apporto della moderna tecnologia e al proposito bisognerebbe anche esplorare, per quanto sia noiosissimo, il mondo delle liste di discussioni e delle chat a base storica. Sono questi infatti gli unici ambienti in cui la storia sembra avere un'importanza vitale per qualcuno, anziché essere la materia oggi più odiata dagli studenti liceali e universitari occidentali, come hanno rilevato numerosi sondaggi. Nel successo delle liste e delle chat probabilmente gioca una componente hobbistica e ludica, che invece è venuta completamente a mancare all'insegnamento scolastico ed universitario. In più tutti i partecipanti possono dire la loro senza essere zittiti e soprattutto incontrando alla fine persone che hanno gusti analoghi.
La storia come passione dunque e come condivisione di gusti, democraticamente accolti. Ma anche la storia come ricostruzione. Nell'introduzione ho insistito sulla riorganizzazione narrativa, ma bisogna dire che la nuova strumentazione presenta grandi possibilità ricostruttive. Già affrontando fumetti e cinema si era notano come essi potessero incorporare elementi di forte mimetismo. Il digitale offre possibilità ancora più grandi di rendere il passato come era. Ho accennato agli esperimenti di due riviste statunitensi, "The American Historical Review" e il "Journal of American History", ma cosa dire dell'impressionante resa storica dei videogiochi negli ultimi cinque anni. Lo sviluppo di quelli sull'età moderna, da Versailles - Complotto alla corte di Re Sole (Cryo Interactive 1996) a Casanova - Il duello della rosa nera (Arxel Tribe 2001), ha attirato l'attenzione dei commentatori specializzati (Walter Minucci, Tra duelli e dame con Casanova, "CorrierEconomia", supplemento al "Corriere della Sera", 11 giugno 2001, p. 22). Il verismo e l'attenzione alla logistica e alla strategia di quelli sulla seconda guerra mondiale sono stati dichiarati ineguagliati dagli studi accademici sugli stessi avvenimenti (Jaime D'Alessandro, La Playstation sale in cattedra, in Libro di storia, supplemento a "Diario", VI, 18, 4 maggio 2001, pp. 132-135). Sono tutti elementi che fanno pensare alle possibilità didattiche per rivitalizzare una materia di studio in netto declino e una disciplina accademica che si è a lungo avvitata su se stessa. Sono inoltre tutti elementi che fanno pensare a uno storico della cultura quante possibilità vi siano oggi per verificare le immagini del passato (e quindi del proprio presente) condivise da buona parte della popolazione alfabetizzata.